La mattina, l’umidità sulle foglie, le illumina come aureole di vergini al sole, mentre sopra l’uva c’è un effetto leggero di lacrime a aghi di brina puntigliosa.
Provvede il calore a distogliere l’effetto ottico che si invola per aria sotto forma di vapore, le mani nude nel cogliere lavate da una sensazione fresca che ritorna mosto appiccicoso quando il tutto si riasciuga.
Prima carbonica che si sprigiona dai tini di fermentazione, panieri e cassette della raccolta da lavare, il trillare di un pompa nel rimontaggio all’aria del vino a divenire.
In fondo niente di nuovo al mondo da quando esiste l’uva: cambiano solo gli utensili, i tempi e le persone che ci girano intorno.
Gli indolenzimenti di schiene e braccia si assestano quando a tavola compare un trancio di porcellotto arrosto accompagnato dal vino dell’anno prima.