Per il maiale un po’ meno, ma in ogni podere e in ogni famiglia, da gennaio a febbraio era una festa, perchè il quadrupede per un anno allenato a ghiande, erbe e rifinito a castagne, era il momento di suddividersi in diversi tagli dai nomi che neanche i sacri testi dell’antico testamento suscitavano delle visioni così mistiche.
Salsicce, salame, rigatino, gota, capocollo, rostinciana o costoleccio, spalla, soppressata e buristo, arista, sua maestà il prosciutto.
A quel tempo, non c’era rischio di colesterolo, non c’era rischio che si buttasse via niente, non c’era il rischio che il sostentamento della famiglia facesse venire in mente che fosse anche raffigurato nel Buongoverno del Lorenzetti negli affreschi di Palazzo Pubblico o in appendice a momenti che si chiamano alta cultura.
Il massaggio al prosciutto, come non è capace neanche il fisioterapista del Real Madrid, un mortaio pieno d’aglio da pestare con ramerino, pepe, poi aceto a bollore che disinfetta la ciccia prima di essere coperta dal sale. Un giorno per ogni chilo di coscia, prima del pepe.