Quando i cinema avevano la coda di Vincenzo Coli

Ci si sente meno orfani, quando dinnanzi al camino, con la brace ardente, mentre il costoleccio cuoce, si divorano pagine e si incenera la brace per non essere distolti da una lettura di un microcosmo di vita vissuta, che spazia al mondo e parla di socialità perduta.
Chiunque venga dal Chianti, ha l’abbaglio facile con il quattrino, ma la burinaggine non si smonta neanche se da poco o niente, diventa tanto.
Accade così che a un tris-nonno vincente alla lotteria della vita, capita di sposare una virgulta ragazza, proprietaria di beni e di immobili, che gli consentono non poco di innalzarsi, spendere e spandere quanto l’agio permette.
Al di lui figlio fino ai trent’anni è permesso vivere alla Conte Mascetti, salvo poi mettersi a far danni in una falegnameria e capire che era meglio rifugiarsi nel nuovo che avanza: le ferrovie.
Peccato che lì sia un covo di persone che guarda a un futuro di sol dell’avvenire e piglia un po’ per le mele chi la domenica va in giro alla Lizza, con i calzoni di lino, un ampio panama, i baffi a manubrio e due levrieri al guinzaglio, in mancanza di orsi bruni.
I figli crescono di un’altra pasta e anche i figli dei figli e i nipoti, che in una città (ora densa di pomposi da compressione) crescono in un mondo un po’ in disparte, nelle disgrazie di olio e manganello e di quei francesi che finalmente arrivarono con uno storico dell’arte alla loro guida, per liberare le lastre dalle disgrazie.
Quello che prima non si poteva vedere, lentamente arrivò, nonostante la censura da fonte battesimale e sacrestia che colpì l’immaginazione degli anni ’50 e l’impeto di un mondo un pochino migliore.
Le prime proiezioni in un lenzuolo nelle piazze, con la gente in canottiera che si portava la seggiola da casa e alla svelta anche una frittata fra due fette di pane e qualcosa di sangiovese liquido per asciugarsi la bocca mentre le immagini lasciavano stupefatti.
Un bambino assiste, come può assistere un bimbo cinquenne alla vittoria del Bruco e al primo film della vita, che diventa una pppietra miliare dell’andare.
Cinema ad alta definizione della vita, come quando viene raccontata nel crudo reale e nel disprezzo tutto andreottiano che “I panni sporchi si lavano in famiglia” e non si mostrano al mondo, come nelle più onorate società.
Cinema che diverte, permette incontri, mostra mondi diversi, poi nel crescere, le prime vacanze fuori le mura, i primi film che vanno oltre la siepe e nell’andare fanno crescere.

Un libro che si divora, per chi ha la bramosia di essere e non di avere.

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2 risposte a Quando i cinema avevano la coda di Vincenzo Coli

  1. vincenzo coli ha detto:

    Caro Andrea, per colpa di una personale inqualificabile incuria leggo solo oggi il tuo delizioso articolo sul mio libro. Sono lietissimo che ti sia piaciuto e ti abbia fatto compagnia insieme al costoleccio al canto del fuoco. Apprezzo molto anche che tu lo reputi particolarmente consigliabile a chi ha desiderio di essere, e non di avere. Pure io risolverei come te l’amletico dubbio, e non m’importa nulla di essere in minoranza. Anzi. Il mio amico Paolo Maccherini mi diceva sospirando: “Io e te siamo fatti di ferro dolce”. Dati i tempi anche allora piuttosto feroci, forse era una sconsolata constatazione di inadeguatezza, ma io ancora oggi mi ostino a considerarlo un bel complimento. Contentissimo delle consonanze che ci uniscono, ti auguro buon anno e ti abbraccio. Vincenzo Coli

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  2. Andrea Pagliantini ha detto:

    E’ stato un bel leggere, condito da una discreta velatura di invidia per quel tratto docile di penna, condita di docile e delicata ironia, che denota maestria nell’uso dell’inchiostro e nel sapere mettere in fila, pensieri, ricordi, emozioni di un periodo denso, irripetibile, dove l’oggi, o l’appena trascorso era materia prima per gli sceneggiatori del cinema e della politica in senso alto.

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