Borghesia piccina, proprietaria di qualche zolla sassosa, che la elevano nel corso dei decenni di mezzo scalino nella piramide di chi non conta niente.
Nasce da una spuma di acqua ramata e calce, la stirpe Aristogatta che si eleva con poche fusa e tante moine con qualche linea di febbre di studio e la coltivazione di rapporti sociali con gente intrigante quali artisti più antanisti che futuristi, caccole del vinacciolo e delle cattedre più alte, figli dei fiori che fanno divertire, ma alla fine rendono poco.
La parola d’ordine è sempre quella di far bella figura spendendo poco e rammaricarsi di non avere una rappresentanza politica adeguata al proprio animo rivoluzionario con le bollicine e le comodità del caso.
Si pretendono favori da chi si ha intorno, anche se da persone umili con cui, per logica e indole, non si avrebbe niente con cui spartire; li si liscia e imbonisce pur di arrivare allo scopo prefisso, poi li si manda in culo appena possibile dopo aver ricevuto.
Se poi le possibilità e il meteo non aiutano, a una delle tante assemblee settimanali indette dall’Accademia della Caccola si trafiggono i villani per non essere di parola, poco precisi, di carattere strambo e mai pronti a fare un piacere a chi, nell’animo suo lo rifarebbe, magari per amicizia, a qualcun altro, fra una trentina d’anni.