Non c’è niente contro l’esercizio della caccia al cinghiale purchè questa non sia un ossessione per pochi e un problema per tanti.
I vecchi cacciatori mal si identificano con questo tipo di approccio alla caccia. La pazienza, la scaltrezza, la conoscenza dei fili dell’erba piegati dal passare di una preda o dal terreno più o meno bagnato che sterilizza l’olfatto del cane. L’osservazione, il saper scegliere l’ora, il viottolo giusto, la dose di polvere necessaria comparabile al vento, all’umidità dell’aria.
Quasi poesia e racconti la sera a veglia l’aver preso un fagiano, una lepre, una beccaccia. Tempi diversi dal prendere quaranta, sessanta, cento cinghiali a botta come succede adesso con questi maiali selvatici allevati allo stato brado.
In questi giorni, basta girare il Chianti: aumentano i fossi per accogliere i pali, sempre più alti, per interrare e accogliere nuove recinzioni con la novità assoluta che insieme alle vigne vengono protetti e chiusi anche gli ulivi mangiati dai cervidi.
Non si può blindare il paesaggio, non si può veder brucare i germogli delle viti, non si può veder disintegrare l’uva, il lavoro di un anno, l’orto per la famiglia, i muri dei campi, il giardino dell’albergo o dell’agriturismo a causa della presenza massiccia di queste strane bestie introdotte negli anni ’70.
Quando i cinghiali sono imbottiti per tutto l’anno di pane e granturco e rifiniti fra settembre e ottobre di uva, si deve parlare di allevamento e non di caccia.
Servono abbattimenti, serve eliminare le zone di caccia dove ogni squadra esercita l’allevamento e le battute e far tornare il territorio accessibile a tutte le squadre di cinghialai della zona o della provincia.
Sicuramente questo è un ritorno ad una caccia più antica e soddisfacente per chi la esercita, meno opprimente e dignitosa per chi ne subisce danni, deve vivere o pagare stipendi legati all’agricoltura.
La politica è sorda ma si riempie la bocca davanti ai microfoni o ai taccuini della bontà dei prodotti della terra, che rimane sempre troppo bassa per tanti.
L’articolo – intervista di Laura Valdesi sulla Nazione del 5 aprile espone la versione di un’altra campana rispetto all’articolo della settimana precedente in cui tutto andava bene.









Sono perfettamente d’accordo con quanto dici, ma ora come si esce da questa situazione?
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Bello l’articolo e condivisibile il contenuto. Non è la prima volta che dici cose che tutti o quasi pensano ma nessuno ha il coraggio di dire, e a questo punto, (con la pagina sulla Nazione) mi chiedo se hai messo nel conto di subire, a breve o lungo termine, ritorsioni e danneggiamenti!!!
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Quando le aziende smettono di fare le vittime recintando impassibili i loro terreni invece di alzare la voce e di farsi sentire? Che fa il Consorzio del Chianti Classico?
Gli basta cambiare il logo per sentirsi a posto o per dire che Chianti è fin dove arriva il gallo nero????
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