Non c’è più il Pinocchio intagliato in un ciocco di legno da Ottorino, accanto all’entrata della sua casa, ma rimane la tradizione dell’andare a prendere l’acqua al fontino e trovarci persone che più per tradizione o la certezza di scambiare due parole, non vanno a pigliare il pacco da sei bottiglie di gassata della Coop, ma risalgono l’erta che sale da San Gusmè o la discesa che arriva da Monte Luco per non dimenticare un sapore antico: la parola.
C’è una costruzione moderna con tanto di tramoggia per l’uva e di quel merlot che si è inerpicato fin quassù a sfatare i profumi del sangiovese d’altura.
C’è l’immancabile piscina di un’attività turistica, ma c’è anche il buon gusto di averla avvolta in una rara e bella siepe di olivo invece di tenerla a vista accanto all’antico.
C’è una chiesetta mai vista aperta, un bel viale per camminare, il già detto fontino di acqua che scende dalla montagna, olivi, viti e l’immancabile razzolio di cinghiale tanto tipico del Chianti più classico.