Nell’iconografia classica, c’è Beppe con la sega e Maria alle corde con l’arcangelo per l’annunciazione, non se ne esce da una raffigurazione dettata da secoli costruiti su spine di macchia gazzina, roghi non da carbonaia e anticipo di inseminazione artificiale.
Ma c’è anche una terra, nella quale ogni podere o quasi è disseminato nella storia di nati, vissuti, bovi, carri, aratri e coltri, una terra, dove molti poderi sono battezzati con nomi di santi.
Fra San Giuseppe e Santa Maria, avrebbe dovuto esserci una mangiatoia con dentro un pacco di cenci frignante, destinato a un futuro illuminato da un’aureola con la luce a led, invece, nel centro c’è un fontino che i locali chiamano Pisciolino per l’intermittenza con la quale versa un lumicino di acqua che scorre sotto le barbe delle viti, a termine quando il sole si accende e arde.
Poco più in là c’è un pollo nero che si prende la scena, il simbolo di un Consorzio del vino che trae le origini e il vanto di esistere da quel troiaio d’uomo di Cosimo III de’ Medici.