Quando arrivava il freddo, era il momento giusto per iniziare a suddividere il maiale nei vari tagli e trasformazioni delle parti più o meno nobili, ed era una scienza, un momento di gioia, cadenzato di sale, spezie, pepe, buccia di limone, qualche spezia a seconda del posto.
Un momento in cui qualche caloria in più, contribuiva all’istante a sopportare meglio il peso dell’inverno e l’obbligo di dover pagare il pizzo al padrone sotto forma di spalla o di prosciutto, che poi si sarebbero sbafati i soliti sottopancia.
La salatura del prosciutto è la cosa più nobile e semplice che esista in natura dopo il fare vino (che in parte serve sotto forma di aceto).
Una scaldata all’aceto con dentro aglio e ramerino, un massaggio all’arto in una tinozza con questo disinfettante naturale e futuro prosciutto coperto di sale, posizionato in leggera pendenza, un giorno di sale per chilo di ciccia, meno un paio di giorni o tre.
Successivamente lavatura con vino bianco, un’ora di riposo e tanto pepe a coprire le parti vive e intime per evitare il covare di ospiti indesiderati.
Appeso al buio in mesi di stagionatura in ambiente secco e asciutto, ottimale il taglio dai dieci mesi in poi con pane fresco e popone.