Dieci minuti di applausi scroscianti, hanno concluso lo spettacolo di e con Alessandro Riccio e l’Ensembl di archi e fiati dell’Orchestra Regionale della Toscana, presso il Teatro del Popolo di Rapolano Terme, stipato di persone.
Un Giuseppe Verdi che nei movimenti, nella gestualità, nel candore di barba e capelli, dimostra che il cigolio del corpo e della memoria, non gli faranno più scrivere i capolavori immortali di opere fino a poco prima prodotte.
Manca non la dedizione, non la volontà di riempire di note uno spartito, non le richieste di visite e di presenza ad eventi più o meno importanti.
Si scava in quello che è l’ispirazione massima per produrre meraviglia di musica, di parole, di arte in genere e si trova un piccolo viottolo che poi si apre e sfocia in una grande arteria di comunicazione, che è la causa e il manifesto di tutto l’andare nel produrre elementi sublimi di condivisione e di memoria: il dolore.
La perdita della prima moglie, dell’amata Margherita e dei loro figli in tenerissima età (Virginia e Icilio) è come un graffio di chiodo rugginoso sul cuore.
Convogliare il dolore (Celeste Aïda, forma divina,Mistico serto di luce e fior, Del mio pensiero tu sei regina, Tu di mia vita sei lo splendor) comporta comporre in musica e parole il proprio struggimento, il proprio malessere, il pensiero che prende forma in un istante e vola.
L’incaponirsi a voler proseguire e credere di poter arrivare a vette sublimi senza la lubrificazione del dolore, in vecchiaia, come nell’incanto di Rapolano è farsi male.
Vedere lo spettacolo di Alessandro Riccio, supportato di spalla e di musica dagli splendidi Maestri dell’Orchestra della Toscana è come aprire lo sguardo al fatto che le migliori parole sgorgano dalle ferite con cui ognuno convive.
Brilla una rondine in volo fra le stelle della fresca notte di Rapolano.