La parte più lugubre è adesso.
Il momento in cui un tiro di corda, una sgassata la prova della catena, danno il via all’abbattimento degli alberi in via Simone Martini, a Siena.
Il deserto successivo, il verde che sparisce e le ruspe che spianano e violentano per far posto ai soliti posteggi e a un auditorium di cui sembra non si possa fare a meno, è uno di quegli spettacoli di cui farei volentieri non vedere.
Per vari motivi, sono due mesi esatti che non passo davanti a quello che era l’unico spicchio di verde rimasto dentro Siena, vorrei non ripassare più da quel posto, ma sò bene quanto sarà difficile mantenere questo proposito.
Vita Di Benedetto dalla sua bottega artigiana dove sforna etichette per vino una più bella dell’altra, manda foto e descrive ciò che vede, ciò che non c’è più, ciò che viene strappato per far posto a uno di quei tristi palazzi grigi e freddi, dove la gente che ci passa o ci vive, ci lavorerà, neanche si smusa, neanche si dice buongiorno.
La sola cosa da fare, come dice Vita, dopo che gli abitanti hanno saputo a cose fatte e decise, è controllare che i volumi non raddoppino, non triplichino. Magra consolazione.
Siena è una città che taglia l’alberi.