Il concetto di cosa è arte in epoca moderna è di una soggettività imbarazzante, specie se mescolato al marketing come ogni area della vita.
Ciò che smuove i pensieri, tocca il cuore o le coscenze, o l’esasperazione dell’eccentrismo e dello stupire per essere presenti, citati, invitati, fonte di assegni staccati non da luminari mecenati ma da ricchi e basta.
La serie di canotti arancioni appesi alle finestre di Palazzo Strozzi a Firenze sembrano più una goliardata che uno stimolo alla riflessione sul dramma delle migrazioni nel nostro mare sulle fughe rischiose dalla propria terra, su quanto la vita su quelle imbarcazioni diventa poca cosa o merce per trafficanti senza scrupoli.
Una barca, uno dei tanti gusci di legno mal ridotti giunti a Lampedusa con il proprio carico di carne umana messo per una settimana in Piazza della Signoria, scarno, senza didascalie o con accanto la poesia “Se questo è un uomo” di Primo Levi ha, fra bar e vetrine luminose l’impatto di un graffio nei cuori di chi non è arido. I canotti appesi sono ego.









Sottoscrivo ogni virgola, fino all’ultima riga.
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