Fontebranda, la fonte medievale citata da Dante nel trentesimo canto dell’inferno

Fontebranda (territorio della Nobile Contrada dell’Oca) è la più antica, maestosa e celebre fra le fonti di Siena, poco distante daalla casa santuario di Santa Caterina.
La fonte, (ricordata dal Boccaccio nel Decamerone e Dante Alighieri nel trentesimo canto dell’inferno), riforniva di acqua i mulini collocati fuori dalla porta di Fontebranda e dava lavoro ai tintori e conciatori di panni raggruppati in questo quartiere nella corporazione dei tintori.
Jacopo Benincasa, padre di Caterina, abitava con la sua numerosa famiglia nei pressi della fonte e attingeva acqua per tingere i panni, proprio da Fontebranda.
L’esistenza di una fonte in questo luogo è documentata già dal 1081, mentre nel 1193 fu ricostruita e ampliata dall’architetto Bellamino, ricordato in una iscrizione originaria conservata nel fondo del parametro all’interno della fonte.
La copertura, con le maestose volte a crociera, avvenne più tardi, esattamente nel 1246, ad opera di tal Maestro Giovanni e fu in questa occasione che venne abbellita da quattro leoni in pietra con al centro la Balzana, lo stemma della Repubblica Senese.
Fontebranda ha tre possenti doppi archi ogivali, ha merli nella sua parte terminale aggiunti in epoca moderna.
Le grandi fonti pubbliche erano alimentate dalla complessa rete di acquedotti ispezionabili sotterranei che erano i bottini, e oltre a soddisfare necessità pratiche quali l’approvvigionamento idrico della popolazione, costituivano una valida riserva di acqua in caso di incendi.
Come nelle più importanti fonti medievali Fontebranda si componeva di tre caapienti vasche: la prima provvista di cannelle da cui sgorgava l’acqua, qui le persone attingevano acqua da bere, nella seconda vasca, alimentata attraverso il trabocco, si andavano ad abbeverare gli animali, nella terza e ultima si lavavano i panni.
Da qui l’acqua passava nel guazzatoio ed era sfruttata da tintorie, concerie, infine veniva incanalata per alimentare i mulini, collocati fuori porta.
Enormi somme di denaro furono spese per mantenere Fontebranda sempre pulitaa ed efficente, tanto che alle principali fonti senesi furono assegnate guarnigioni di soldati e di custodi detti “mastri bottinieri” che avevano il compito di far rispettare le leggi che regolavano le attività delle fonti.
Nell’archivio di Stato di Siena, è conservato un documento datato 1262 in cui si narra di una donna chiamata “strega delle fonti” che venne scorticata ed arsa viva, perchè accusata di aver avvelenato le acqua di Fontebranda.
Nel 1300 venne promulgata dalla Repubblica di Siena una norma che vietava, nei pressi della fonte, le coltivazioni di porri, cipolle, scalogni, rucola, prezzemolo e cocomeri, pena soldi 100.
All’epoca l’acqua era considerata un prezioso bene comune da salvaguardare e proteggere.

Fonte: Il Cittadino on line

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0 risposte a Fontebranda, la fonte medievale citata da Dante nel trentesimo canto dell’inferno

  1. filippo cintolesi ha detto:

    La Fonte Branda citata da Dante nella decima e ultima bolgia del cerchio ottavo dell’Inferno, dove pone i falsatori, e in particolare quelli di monete, come Mastro Adamo e i conti di Romena, non e’ la Fontebranda senese ma la Fonte Branda che si trova appunto in Casentino, a poca distanza dalla pieve di Romena e dall’omonimo castello dei suddetti conti, dei quali Guido secondo e il fratello Alessandro sono citati insieme alla fonte.
    Dice infatti maestro Adamo al Poeta:
    “…
    Ivi e’ Romena, la’ dov’io falsai
    la lega suggellata del Batista;
    per ch’io il corpo su arso lasciai.

    Ma s’io vedessi qui l’anima trista
    di Guido o d’Alessandro o di lor frate,
    per Fonte Branda non darei la vista.
    …”
    (Inf. XXX, 73-78)

    La lapide dantesca del 1921 apposta all’imbocco di vicolo del Tiratoio alimenta l’equivoco.

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  2. silvana ha detto:

    da tenere da conto l’osservazione sulla necessità di preservare l’acqua, magari dando vita a un ‘passaparola’?

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