A Radda, Gaiole, Barbischio, non ci starebbe neanche Cristo

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E’ un modo di dire che ha circolato parecchio, almeno fino agli anni ’90 del Novecento, quando essere del Chianti sottintendeva essere di zona marginale e disagiata, lontana mille miglia dalla civiltà e dalle comodità del mondo.
Partendo da Siena era difficile far capire che arrivare in una delle località suddette era più celere e vicino che andare a Montalcino per pigliare una boccata d’aria salubre e allo stesso tempo una damigiana di rosso sfuso per alleggerire i tini nelle poche cantine, ma inevitabilmente l’auto al ponte sull’Arbia di Pianella, deviava da sola verso destra Casetta, Pancole, San Piero in Barca, che il Chianti da lì era ancora un viaggio infinito e astratto da raggiungere.
Ai tempi del proverbio c’era sasso, c’era terra arida, c’era ignoranza, c’era bigottismo sceso nei cervelli a piccole gocce somministrato dagli armigeri vaticani dei tanti Don Abbondi, c’era genuflessione verso chiunque ostentasse un po’ di potere o avesse le scarpe lustre.
O meglio, erano le menti che si tenevano al giogo da sole, proni verso i voraci, da qui la validità di quel vecchio modo di dire caduto ormai (un po’) in disuso.
Allo stato attuale Radda pare una piccola cittadina della Svizzera, Gaiole è meno triste, Barbischio, è sempre a bacìo e vede il sole solo poche ore al giorno.

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