Mentre Silvio si becca 4 anni e dieci milioni di multa per frode fiscale, la sera nebbiosa che piove vede tornare protagonisti i prodotti di stagione del bosco, dell’orto, della vigna, del pollaio e dell’uliveta con lo sfondo della seta vocale di Cesaria Evoria.
Il cibreo dell’Artusi con satelliti di castagne e crostino di funghi gentili, sformati di zucca e carciofi, nuclei di uova rossissime per fettuccine, crostini neri, pan dei santi.
Fuori piove mentre i colori autunnali risiedono nei piatti, arriva il vinsanto quando Cesaria Evoria canta l’amore e la vita.
Silvio bestemmia.
Andrea Pagliantini
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Per Silvio ci vuole il paletto di frassino…
Qui, sotto acqua e vento da venerdì e oggi è arrivata la neve.
Caminetto acceso, patate sotto la cenere, un filo d’olio e castagnaccio, una bottiglia di terre brune e brindo con te al tempo e al silenzio… 🙂
https://www.youtube.com/watch?v=VLIz29b9HHo
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@Roberto
BELLA SCELTA IL TERRE BRUNE….BOONOOOOOO
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Se – e sottolineo il “se” – si capisse definitivamente che questa è la cosa, la Toscana (ma che dico, l’Italia!) potrebbe ripagare i suoi debiti, facendo pagare il giusto le giuste delizie. Senza tangenti agli ominidi della politica, ma tenendosi stretti solo quelli onesti. Sono pochi, ma ci sono. Gli altri tutti in discarica. E i ‘buoni’ seduti, in qualche modo acconcio ad assaggiare la cosa, quella vera e giusta.
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@ambra
Era una bottiglia del 2002 che ha sposato, con sommo piacere, una polenta di Formenton con cinghiale in umido. 🙂
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Certo che a curare un orto ed essere vicini al bosco e seguire il corso delle stagioni la gente si governa con poco ma con delizie assolute e senza dare sportellate sul conto.
Oggi rapi rifatti con salsiccia che avrebbero suscitato l’invidia di un sant’uomo come il papa.
Ma siccome siamo miopi ci si fa ingolfare le cose buone da una burocrazia lenta, indolente, elefantiaca e spesso inutile perchè asseggiolata dalla politica più flaccida che c’è.
Silvio non c’entra niente con il flaccido, si è rifatto tutto or ora…
Togliete la curiosità a questo ignorantone e spiegate come, dove e nasce il Terre Brune.
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Questi sformati e tutto il resto mi fanno sformare di dover stare in una città dove l’ambizione della maggioranza assoluta è “fare (già la scelta del verbo è indicativa…) l’aperitivo” mangiando troiai e pagando pure tanto.
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Cose come lo sformato con relativo cibreino sono tali che o te le fai a casa o non te le mangi, con l’eccezione di ben pochi posti dove comunque te le farebbero pagare non poco, visto il relativo almanaccamento che richiedono. Quindi, Dario, non e’ proprio il caso di sformarci ma semmai e’ il caso di riappropriarsi di cio’ che ci appartiene, incluso il diritto di vedere nel piatto quel che ricordiamo di averci visto molti anni fa.
Anzi, spesso e’ proprio la condizione di lontananza fisica dai luoghi e dai contesti a cui certe cose appartenevano, che stimola l’attivismo necessario per realizzarle.
Per quel che mi riguarda, per esempio, e’ stato proprio vivendo in GB che ho cominciato a farmi il pane da solo a partire dalla pasta madre, riscoprendo cosi’ un profumo di madia e scoprendo finalmente che non e(ra) il pane a sapere di madia ma le madie a sapere di pane; o a farmi i tortellini a partire dagli ingredienti di base; o altre cose del genere, alle quali ho sentito di avvicinarmi di piu’ che quando quelle tali cose facevano parte se non della quotidianita’ per lo meno di una regolarita’ quasi data per scontata.
Al di la’ degli stimoli indotti dalla nostalgia, poi, e’ stato anche ammirando come altre culture hanno cura di se stesse e delle proprie memorie, che ho imparato meglio a rispettare le mie.
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Sottoscrivo – una per una – le sante parole di Filippo!
Siamo accecati dallo sconoscimento.
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E’ per questo mi sono rimesso a fare una parvenza di orto.
Sentire il bisogno di ricreare un indotto in cui si inseriscono profumi e sapori e capacità varie di persone capaci di trasformare i prodotti.
Un modo per riappropriarsi di ciò si era in semplici, cordiali rapporti umani, un modo per assaggiare qualcosa di buono con la scusa di un cavolo ridotto a sformato da cui possono nascere storie, idee, sentimenti.
Amo queste cose avendole percepite non da lontano, ma dal luogo dove le mie radici sono ben piantate avendole viste e vissute quando il mondo era un pochino diverso.
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Specifico meglio.
Io queste cose me le tengo strette: in due settimane s’è fatto prima due volte il panello coll’uva da vino e ora il pancosanti, che tra l’altro è venuto davvero speciale.
Fra poco tocca alla zuppa di pane, col pane vecchio di Castelnuovo e i cannellini presi a Siena.
Ma si tratta di estrema difesa, attuata in un campo ostile, dove chi ti circonda è un prodotto dello “sconoscimento”.
Da qui lo sformare: dalla cattività.
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x Andrea
Vino sardo, battezzato da Giacomo Tachis fine anni ’70/primi ’80, Terre Brune è un Carignano del Sulcis DOC Superiore (Carignano 95%, Bovaleddu 5%)
La cantina
http://www.cantinadisantadi.it/terrebrune.htm
Nelle terre brune del Carignano
http://www.unionesarda.it/Articoli/DettaglioRubrica.aspx?id=228887
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Bravo Filippo!…la passione nel cucinare ,e per le cose buone, non ti manca davvero…se poi ci vuoi onorare con la “tua”ricetta del cibreo, siam già forniti di penna per trascriverla…Io ho il ricordo di quando la facesti,tempo fa…Un saluto
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Ti capisco e ti son nel cuore, Dario. Io la chiamavo diaspora, tu cattivita’. Sempre a quel popolo errante sembriamo riferirci.
Elisabetta, non me la sento di chiamare “mia” quella ricetta. Il succo e’ sempre quello, patrimonio comune: fegatini, durelli, cuori e se ci sono anche creste, il tutto “cibreato” (appunto) con un battuto di cipolla bianca, sfumato col bianco secco, tirato col brodo dopo aver tagliuzzato grossolanamente l’intingolo. Da ultimo si sfricassea: rosso d’uovo succo di limone e battuto di prezzemolo stemperati e versati nella casseruola levata dal fuoco, in modo da legare il tutto.
Casomai posso segnalare come piu’ miei (if any) alcune varianti o dettagli: assenza di infarinatura, rosolatura delle frattaglie in olio molto caldo dove si e’ insaporito spicchio d’aglio e foglie di salvia, poi levati. una volta spenta la rosolatura col vino e sfumato, abbassare molto la fiamma e solo a questo punto aggiungere il battuto di cipolla (ne guadagna molto la gentilezza del tutto). e poi la fricasseatura: eventualmente dragoncello al posto del prezzemolo, riduzione di bianco secchissimo al posto del limone.
Mi piacerebbe provare zafferano (magari eliminando la fricasseatura finale).
Insomma cose del genere, da intonare allo sformato che il cibreo va ad accompagnare o all’umore della giornata, una volta “chiappato” lo spirito fondamentale, no?
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…E certo,che SI!!!!…Grazie,Filippo,della ricetta con le “tue”varianti umorali…Lo sformato va bene di qualsiasi cosa,ho ce n’è uno “santificato” per l’occasione? Grazie ancora e buon proseguimento di tutto
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Al netto del cibreo, s’usa ancora fare fegatini e cuori in padella con, appunto, olio aglio, salvia, ovviamente sale e pepe dopo, da mangiare con parecchio pane?
Io ci venni grande, giacché dal pollivendolo se ne portava via tanti a poco.
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Pingback: La Finestra di Stefania » Chef on the Road tra stimmi di zafferano e polvere di cacao per salutare l’autunno
Dario, ti ce la mettevano la pasta d’acciuga nell’intingolo?
Comunque….. che dire: bisogna non indurre in tentazione “di fare l’ aperitivo” resistendo a colpi di rapi e salsicce, pumarola e ribollita sennò la permanenza nella città economica sarebbe una Cayenna.
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Che mi ricordi la mi mamma non ce la metteva la pasta d’acciuga in questo intingolo.
La metteva, invece, sui crostini la domenica, col burro.
Non c’era aperitivo migliore.
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Nell’intingolo che dicevi te (fegatini interi) no, ma scommetto che se coi fegatini ci faceva i crostini, acciughe e capperi ce li metteva.
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Diamine, per fare i crostini neri
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