
Cinque anni fa, il 3 gennaio 2012, ci lasciava Giulio Gambelli.
Ogni tanto (abbastanza spesso per la verità) mi piace ricordarlo e sono quasi sempre bei ricordi. Gli unici negativi riguardano i primi tempi dopo la morte, quando ci fu la corsa a salire sul carro del vino gambelliano, anche da parte di chi faceva e produceva vini in maniera opposta.
Per fortuna dopo un po’ di tempo la “moda” del vino gambelliano si è placata, trasformandosi in quello che era ed è sempre stato: una serie di azioni semplici e lineari, rispettose, che portavano a fare dei vini non solo buoni ma profondamente veri.
Del resto sarebbe stato Giulio il primo a voler poco scalpore attorno al suo nome, sminuendo i suoi meriti con una scrollata di spalle o con un’occhiata che valeva più di mille discorsi.
Quindi anche queste poche parole non saranno una commemorazione ma solo un modo per ricordare cosa e quanto è stato fatto per ricordare nella giusta maniera Giulio Gambelli.
Per prima cosa il Premio Nazionale Giulio Gambelli che, giunto alla quinta edizione, è diventato un punto fisso nel panorama nazionale, nonché l’unico che premia i giovani enologi. Tra pochi giorni ci saranno gli assaggi per decretare il quinto vincitore, che verrà premiato durante le anteprime toscane.
Accanto al premio c’’è stato finalmente il riconoscimento ufficiale del personaggio, con la promessa da parte della Regione Toscana del conferimento del Gonfalone d’Argento.
Ma forse la cosa più bella, quella che sicuramente sarebbe piaciuta di più a Giulio, è che la sua memoria è viva, affettuosamente viva in tante persone. Persone che non lo sbandierano a destra e a manca ma che conservano con tenerezza ricordi dei momenti passati con quest’uomo schivo e mite, talmente educato da aver trasformato un “ragazzaccio maleducato” come il sangiovese toscano in qualcosa di elegante è rigoroso.
Io sono stato fortunato ad averlo conosciuto, questo è il ricordo a cui tengo di più.
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