L’orrore delle schiave rumene violentate nei campi a Ragusa

«Possono prendere il mio corpo. Possono farmi tutto. Ma l’anima no. Quella non possono toccarmela». Alina mi indica un locale in mezzo alla campagna. «Lì dentro succede tutte cose possibili». È uno dei pochi edifici che interrompe la serie infinita di serre. Il bianco dei teli di plastica va da Acate a Santa Croce Camerina. Siamo a Sud di Tunisi, terra rossa e mare azzurro che guarda l’Africa. Siamo nella “città delle primizie”, uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d’Italia. Il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa annullando il tempo e le stagioni. Gli ortaggi che altrove maturano a giugno qui sono pronti a gennaio. Un miracolo chimico che ha ancora bisogno di braccia.

I tunisini arrivarono già negli anni ’80, a frontiere aperte. Le dune di sabbia, il clima rovente, le case cubiche più o meno incomplete ricordavano la nazione di provenienza. Hanno contribuito al miracolo economico della provincia – l’oro verde – e poi sono stati sostituiti senza un grazie. Dal 2007 arrivano nuovi migranti che lavorano per metà salario. I rumeni. E soprattutto le rumene. Nell’isolamento della campagna sono una presenza gradita. Così è nato il distretto del doppio sfruttamento: agricolo e sessuale.
L’articolo di Antonella Mangano continua su L’Espresso

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0 Responses to L’orrore delle schiave rumene violentate nei campi a Ragusa

  1. Avatar di Paolo Cianferoni Paolo Cianferoni ha detto:

    C’è sempre di peggio. Noi non possiamo che fare gli spettatori dell’epoca storica in cui viviamo: anche se ci impegnamo per non far succedere certe cose, dobbiamo rassegnarci a vivere e amare con il sorriso il quotidiano che viviamo. La Storia procede da sè.

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  2. Avatar di silvana silvana ha detto:

    Però, spettatrice, no. Non posso andare lì, o dappertutto, dove succede di tutto il peggio e il male. Ma posso oppormi e contrastare, anche aprendo bocca, se non facendo a cazzotti.

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  3. Avatar di Francesco Sarri Francesco Sarri ha detto:

    concordo con Silvana. Ognuno di noi è testimone ed attore del proprio tempo. Già indignarsi vuol dire non rimanere indifferenti. Francesco de Gregori direbbe: La Storia siamo noi

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