Radda in un’alba

I bar sono aperti da poco e dentro c’è solo qualche sparuto cliente che la domenica mattina sta poco bene a letto e sorseggia parsimoniosamente la prima tazzina di caffè.
La maggioranza silenziosa è raggomitolata fra i lenzuoli e la copertina fine di cotone come fosse un gatto nel pieno dell’inverno e rassegnato a non voler abbandonare quel tepore.
Una luce limpida accende le facciate esposte al sorgere del sole, il paese deserto, curato, silente, solo le foglie dei tigli che cadono nel viale rompono lievemente il silenzio.
La nota lieta e incredibile si ha fra la piazza del Castello e l’arco poco più avanti: qui arriva uno spiffero di un profumo – purtroppo – perduto nei centri abitati come quello del pane che cuoce nel forno.
Forse qualche famiglia, forse qualche signora abituata a certi usi e alzatacce della campagna, fatto sta che questa fragranza avvolge e si mescola con l’essenza di rose fiorite, odor di cantine e di alloro, pensiero di caffè da prendere nel primo bar e giornale seduto al primo sole delle panchine.

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