Da quando il sacrestano capo del Duomo di Pisa, addetto all’accensione dell’incenso nel turibolo (prima che venga oscillato nel corso della funzione) ha avuto un sussulto erotico nel corso di una vacanza di devoto studio e istruzione in Giamaica, non si è più riprodotta nelle pie stanze di marmo carrarino, la reazione chimica a catena che inizia dall’accensione dell’incensiere.
Incenso che entra in contatto con la carbonica del fumo di candela, l’ossido di rame da grondaia vecchia, il calcare sedimentato nelle acquasantiere e il riporto di certe giornate dell’Arno, che tutto insieme forma un composto, che entro una costruzione di marmo carrarino, eccita cellule, che finiscono per dar vita a torri sbilenche, pulpito di sommo artista, che viene smontato, messo a pezzi per la città e rimontato alla rinfusa nel Duomo 1926 e in posizione diversa, perchè avevano perso il libretto d’istruzioni.
L’ultima celebrazione liturgica con l’accensione di incenso e innesco di reazione chimica a catena è di non molto tempo fa: stavolta non hanno smontato niente, si è solo aggiunto un tocco di modernità.
Dal matroneo spuntano dei sifoni di acciaio che nell’intenzione, dovrebbero spingere aria calda verso il fedele o la beghina, che in Duomo vengono a passare un’ora nel ricordo di un bimbo nato in una scarna mangiatoia e scaldato dal fiato di un bue e di un asinello.
Gli stessi asinelli che in epoca moderna scambiano un’opera d’arte come il Duomo di Pisa, come un circolo di ritrovo per soprintendenti in pensione, pettegole mai dome, bei e baldi appassionati bocciofili in cerca di una stanza dove venire a giocare.
Gruppi di giovani protestano che, al posto dell’altare, non sia stato montato uno schermo gigante per vedere tutte le partite del mondiale.