Queste muri in pietra a secco, a reggi – poggio, per ricavare un comodo piano colturale da usare nei limiti come base di viti e olivi, nei tramiti come spazio per coltivazioni stagionali, erano già segnati e connotati nel Catasto Leopoldino.
Non ne sono rimasti molti a delineare il paesaggio chiantigiano e toscano in generale, varie vicissitudini, come l’abbandono delle campagne, l’incuria e la coltivazione specializzata della vite, hanno spesso tabula rasa di queste magnifiche opere agricole.
Le poche rimaste soffrono del tempo che serve per la loro manutenzione, del fatto che i cinghiali siano degli specialisti inarrivabile nello smontare e far franare i muri, le ginestre, che una volta avvolto il tramito, pare un peccato eliminarle, ma pericolosissime per gli incendi.
Ma il richiamo della terra e la bontà della vita scandita dal sole e dalle stagioni, induce a dare un senso e a rimodellare con parsimonia il senso del passato per condurlo al futuro.
La campagna è una cosa che avvolge, specie quando si riappropria del gusto del bello, del concetto di spazio, dei rapporti fraterni che genera perdersi un mare di sogni, di viti fresche di dimora, di ulivi da ripigliare, di sere su un sasso a guardare il sole va a dormmire.
bello anche questo post…anche a me mi ( a me mi si dice si dice….:) ) piange il cuore a vederli buttare tutti giù per fare le vigne “a rompicollo” come usa ultimamente
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