Poco prima delle otto si aprono i cancelli del bunker di rete che protegge il merlot dalla voracità dei soliti quadrupedi immortalati dalle maledizioni di centinaia di agricoltori.
Si cercano i panieri, si pigliano in mano le forbici, si inzia al primo filare a recidere i raspi e a sentire il suono ritmico dei grappoli accolti nella plastica rossa con i manici.
Poco sopra la vigna, in una piccola scarpata con un po’ di vegetazione allo stato brado, con dentro qualche ginestra, macchia e un pesco arrivato chissà come, ciondola una giovane coppia di caprioli uniti nell’amore per l’uva e per alzarsi tardi la mattina.
Abituati al silenzio, le voci poco distanti e il vagito del trattore, schizzano per aria e vanno verso la parte del recinto a loro più congeniale (cioè quasi tutta) fanno un saltino, escono fuori e pensano che il sangiovese non è ancora pronto per la raccolta e per esserne convinti, domani lo riassaggiano.