Non sono più i tempi di Spartaco e neanche quelli di Targhini e Montanari, del satiro Pasquino, del sindaco Nathan del “non c’è trippa per gatti” e di Saffi, Armellini e Mazzini, di Goffredo Mameli o dalla floreale brezza Porta Pia suonata dalla carica della tromba del bersagliere senese Niccolò Scatoli o dei sonetti di Fabrizi o di Trilussa.
Neanche sono i tempi di quel profumo di mosto in ebollizione delle giunte Petroselli e dell’urbanista Antonio Cederna o dello storico dell’arte Giulio Carlo Argan o le poesie balistiche di Paulo Roberto Falcao.
Stasando lo spurgo del tempo dei vent’anni che almeno avevano un architetto in gamba e con uno stile (Piacentini) i gargarismi di acqua santiera, le galoppate insane del Freddo e del Teribbile, dei franchi evangelisti e degli sbardellati o delle più recenti suburre delle vie di mezzo, ecco che ti esce la timida Virginia Raggi, che si trova a sedere sulla punta di un vulcano da innaffiare con la gomma dell’orto.
Via Gaiole in Chianti a Roma versa in condizioni di degrado e il sindaco del paese del Chianti (Storico) Mischele Pescini, scrive una lettera alla collega per chiedere se può dare una mano nella gestione onorevole della via e per invitare la collega stellata nella piana guazzosa di ottobre in occasione dell’Eroica e bere insieme un bicchiere di sangiovese.