Una fotografia in bianco e nero ingiallita dal tempo e con i bordi irregolari e seghettati riproduce la giovinezza e il lavoro di un giovane degli anni ’30 dalle grandi scarpe, un fisico asciutto, coriaceo e possente, l’animo amabile e il “sighero” toscano tenuto nel panciotto pronto ad essere incendiato in un momento di pausa o per tenere lontani i tafani.
Il Moro delle Piana era nato il 16 luglio 1900 ed aveva fatto in tempo a partecipare agli ultimi fuochi della prima guerra mondiale quando sembrava che le sorti del conflitto, dopo la rotta di Caporetto, portassero o a una rivoluzione che covava sotto la cenere o a una batosta colossale.
La truppa era acquartierata fra la paglia del piano di sotto di una casa a due piani dal solaio scoperto a metà a succhiarsi le fasce gambiere per placare i morsi della fame.
Al piano superiore, con mezzo pavimento coperto e una zona di soli travicelli con sotto la truppa, gli ufficiali cucinavano uova al tegamino con abbondanza di olio e ogni tanto (bontà loro), inzuppavano un cantuccio di pane nell’olio e lo gettavano alla truppa al piano di sotto per vedere uomini accapigliarsi per un truciolo di pane e riderne.
Soprannominato il Moro per la capigliatura folta e nera che improvvisamente , dopo un incontro ravvicinato con un toro nella stalla che lo mise ad una parete nel centro delle corna, diventò candida fino a scomparire completamente in breve tempo.
E di animali si occupava in un podere famoso per essere un centro taurino di selezione e riproduzione del bestiame razza chianina, per poi tornare a fare il contadino altrove quando la famiglia fu sloggiata dal podere dopo oltre trecento anni vi abitava e lavorava (sodo), e in epoca più anziana avvenne la trasformazione in frantoiano.
Impagabile intrecciatore di cesti e crini.
Sveglia alle 5 e colazione con spaghetti finissimi conditi con pumarola e parmigiano, pranzo a mezzogiorno in punto per sentire il gazzettino toscano alla radio e rito del caffè in poltrona con il tempo che serviva.
Bicchiere di vetro con due dita di cognac marca Tre Stelle (quello distillava l’esercito) un paio di cucchiai di zucchero e caffè dentro in egual misura.
Cappello e panciotto in tutte le stagioni, rigore e passione, rispetto del luogo, svampate di sigaro toscano, giovialità in una casa sempre piena di gente e tanto, tanto lavoro che nobilita l’uomo.
Si chiamava Pietro Baldi, della classe del ‘900.
Mi sento di dire un semplice, ma assoluto, grazie.
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Un’altra storia per ricordare…
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MI hai fatto commuovere….. grazie di queste azioni di memoria.
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Il ricordo ci appartiene, e come diceva un noto scrittore: “Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati”.
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un racconto davvero “romantico”…grazie!
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