La porta della regina d’Olanda del Chianti

Beatrice d’Olanda è stata solata e giornali e televisione non hanno compassione infierendo notizia che la sua in maestà illustrissima ha preso casa nell’in Chianti quando invece si trova a Tavarnelle nella in Val di Pesa,la  porta a questo punto di non si sa  bene cosa essendo sport quotidiano l’uso bischerante di nomi e luoghi a proprio comodo e tornaconto.
Se la tulipana maestà  col carro da bovi trainato al giogo dei suoi agenti immobiliari, si sposta di venti chilometri, l’ il Chianti lo trova, e se rintraccia Vertine scoprirà che in suo onore hanno inaugurato la Porta di Amsterdam che produce un vino piuttosto troiaio ma in compenso poco tipico che pare la porta dell’alicante.

Beatrice d’Olanda nonostante  il sombrero,è stata regalmente presa per la porta delle mele del dietro.

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0 Responses to La porta della regina d’Olanda del Chianti

  1. Avatar di gianni gianni ha detto:

    Ormai il Chianti è sinonimo di vino toscano e non di un territorio ben delimitato e ristretto accumunato paesaggisticamente e storicamente.
    E’ Chianti ovunque e ognuno lo può rivendicare tranquillamente a se senza che nessuno dica niente.

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  2. Avatar di Ci Ci ha detto:

    Pare un post vagamente leghista, ma non può essere così, è il modo di dire le cose e venderle per altre che non va bene e che ormai è privo di qualsiasi decenza e controllo.

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  3. Avatar di Donna Donna ha detto:

    Ci sono passata per curiosità li alla porta di Amsterdam poco distante da Vertine e devo dire il posto e chi c’è non mi hanno entusiasmato.
    Sa di finzione, di costruito, di falsità oltre che di prezzi assurdi e di vino per quel poco ne capisco poco consono al territorio ed evito di narrare tutte le cose mi sono state dette per non sollevare polveroni……
    Sangiovese in purezza, azienda a carattere familiare, un maestro che si occupa del vino… e vario altro.
    NOn andranno lontani inventando simili cazzate a chi passa.

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  4. Avatar di Silvana Silvana ha detto:

    Vecchie abitudini dure da perdere. Ancora c’è chi pensa che basti dire la cosa perché la cosa divenga. Eh no, non è così.

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  5. Avatar di Andrea Pagliantini Andrea Pagliantini ha detto:

    Non è un discorso leghista difendere da mercificazioni e appropriazioni esterne la storia e il luogo in cui si vive.
    Per esempio i tavernellisti della Val di Pesa hanno altra storia e quanto si produce li può essere meglio e meglio ancora di quanto si fa e produce nel Chianti, ma non sono Chianti, sono Val di Pesa, come Cavriglia non è la porta del Chianti ma è Valdarno.
    CAra Silvana, il problema qui è che le cose a forza di dirle e ripeterle alla fine passano per vere, quindi meglio insistere e provare a far capire che dove vivo non è la POrta di Amsterdam o di Montevertina, ma è Vertine, con pregi e difetti e niente altro.
    Donna, se la prossima volta passa da queste parti e si annuncia non ho difficoltà alcuna ad indicarle dove si possa trovare del buon vino fatto da gente seria e vera.

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  6. Avatar di mario mario ha detto:

    per precisione volevo ricordare che una parte del territorio del Comune di Tavarnelle Val di Pesa si trova all’interno della zona del chianti classico e per l’appunto la tenuta della regina d’olanda si trova in quel di Basia a Passignano (luogo magico, chianti classico, comune di Tavarnelle)

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  7. Avatar di Andrea Pagliantini Andrea Pagliantini ha detto:

    Tutto giusto Mario, però sempre per la precisione il territorio Chianti e la zona di produzione Chianti Classico sono cose completamente diverse e distanti fra loro.
    Il territorio Chianti sono la somma dei tre comuni dell’antica Lega del Chianti a protezione dei confini con la Repubblica di Siena (Radda, sotto Vertine e Castellina)
    mentre la zona di produzione del vino Chianti Classico è allargata a otto comuni che c’entrano poco o niente geograficamente o storicamente con suddetta Lega.
    Non è un discorso campanilista, solo un piccolo riferimento geografico e storico che con il territorio di produzione del Gallo Nero c’entra poco.

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  8. Avatar di Cristiano Cristiano ha detto:

    Ciao Andrea, ti consiglio la lettura del libro “I tre Chianti: Il Chianti geografico, Il Chianti storico, Il Chianti enologico” di Renato Stopani, Ed. Centro di Studi Chiantigiani “Clante”.Illuminante.

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  9. Avatar di Filippo Cintolesi Filippo Cintolesi ha detto:

    Mistificante, non illuminante. Oltretutto questa panzana dei tre chianti non e’ da ora che si tenta di accreditarla. Di Chianti ne esiste uno solo, se ci si riferisce a un territorio. E non puo’ che essere il territorio che, rimanendo sotto lo stato fiorentino, ha avuto quasi cinque secoli ininterrotti di continuita’ politica, amministrativa, giuridica, sociale, nell’organizzazione in leghe del contado fiorentino. Di leghe detto contado ne contava una quarantina. Se ritennero di chiamare lega di Chianti quella che riuniva i tre terzi di Gaiole, Radda e Castellina, sotto il vicariato di Certaldo, mentre era un’altra lega, quella di Greve e val di Cintoia sotto il vicariato di San Giovanni il territorio poco piu’ a nord, evidentemente un motivo c’era. E del resto lo si ritrova nelle relazioni anche familiari della popolazione residente originaria della zona: legami, frequentazioni, zii e cugini magari a Vagliagli, a San Gusme’, Villa a Sesta (tutti centri che all’epoca delle leghe facevano parte dello stato senese, nella cosiddetta Berardenga), ma poche o punte relazioni con la zona del grevigiano. Se avesse un senso estendere (di un pelino) il territorio chiantigiano oltre la sua dimensione “classica” (quella della lega del Chianti), questo sarebbe in direzione dell’allora nemico senese. Non certo verso il resto del territorio gia’ allora nelle mani dei fiorentini. La chiave di lettura del Chianti, la sua vera cifra, da sempre, e’ quella di terra di confine, linea di faglia, cerniera. Punto di frizione. Gia’ in termini di diocesi, quindi in eta’ altomedievale, era il confine fra Fiesole e Arezzo. Poi fra lo stato fiorentino e senese (perche’ infatti il potere militare della lega del Chianti era a Castellina, mentre il podesta’ risiedeva invece a Radda? Ovvio: perche’ era in faccia a Castellina il punto piu’ avanzato del nemico, Siena, ovvero la fortezza di Staggia. E a Rentennano, a uno sputo da Siena, era l’avamposto fiorentino. Si pensi al ruolo del Chianti nella preparazione di Monteaperti e nel suo aftermath.. Ora si vada con la mente ai territori attualmente rivendicanti questo nome e si dica a se stessi, onestamente, cosa hanno a che fare con tutto cio’. Assolutamente niente. E si vada a cercare il perche’ di tanto accanimento, perche’ questo assurdo attaccamento a un nome che non e’ il proprio? Per volgarissime esigenze di bottega, solo perche’ il nome Chianti vende bene.

    Nel ricordare che comunque l’Ur-Chianti, il Kianti con la kappa, il Klante, era limitato fino al 13mo secolo alla sola valle del Massellone (anzi Klante pare fosse proprio il nome originario di tale corso d’acqua), ricordando quindi che gia’ la creazione della lega del Chianti fu a suo tempo un allargamento, allargamento che ormai accettiamo in grazia di quei cinque secoli di storia comune, condivisa, rifiutiamo nel modo piu’ assoluto ulteriori e recenti tentativi, totalmente unilaterali, di accaparrarsi il nome Chianti da parte di territori che non hanno mai avuto a che fare col Chianti e mai avranno a che farci. Tentativi, bene sottolinearlo, che sono sempre stati osteggiati dalla popolazione e dalle amministrazioni chiantigiane!
    Concludo con parole tratte dalla motivazione della sentenza con cui nel

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  10. Avatar di Filippo Cintolesi Filippo Cintolesi ha detto:

    Mistificante, non illuminante. Oltretutto questa panzana dei tre chianti non e’ da ora che si tenta di accreditarla. Di Chianti ne esiste uno solo, se ci si riferisce a un territorio. E non puo’ che essere il territorio che, rimanendo sotto lo stato fiorentino, ha avuto quasi cinque secoli ininterrotti di continuita’ politica, amministrativa, giuridica, sociale, nell’organizzazione in leghe del contado fiorentino. Di leghe detto contado ne contava una quarantina. Se ritennero di chiamare lega di Chianti quella che riuniva i tre terzi di Gaiole, Radda e Castellina, sotto il vicariato di Certaldo, mentre era un’altra lega, quella di Greve e val di Cintoia sotto il vicariato di San Giovanni il territorio poco piu’ a nord, evidentemente un motivo c’era. E del resto lo si ritrova nelle relazioni anche familiari della popolazione residente originaria della zona: legami, frequentazioni, zii e cugini magari a Vagliagli, a San Gusme’, Villa a Sesta (tutti centri che all’epoca delle leghe facevano parte dello stato senese, nella cosiddetta Berardenga), ma poche o punte relazioni con la zona del grevigiano. Se avesse un senso estendere (di un pelino) il territorio chiantigiano oltre la sua dimensione “classica” (quella della lega del Chianti), questo sarebbe in direzione dell’allora nemico senese. Non certo verso il resto del territorio gia’ allora nelle mani dei fiorentini. La chiave di lettura del Chianti, la sua vera cifra, da sempre, e’ quella di terra di confine, linea di faglia, cerniera. Punto di frizione. Gia’ in termini di diocesi, quindi in eta’ altomedievale, era il confine fra Fiesole e Arezzo. Poi fra lo stato fiorentino e senese (perche’ infatti il potere militare della lega del Chianti era a Castellina, mentre il podesta’ risiedeva invece a Radda? Ovvio: perche’ era in faccia a Castellina il punto piu’ avanzato del nemico, Siena, ovvero la fortezza di Staggia. E a Rentennano, a uno sputo da Siena, era l’avamposto fiorentino. Si pensi al ruolo del Chianti nella preparazione di Monteaperti e nel suo aftermath.. Ora si vada con la mente ai territori attualmente rivendicanti questo nome e si dica a se stessi, onestamente, cosa hanno a che fare con tutto cio’. Assolutamente niente. E si vada a cercare il perche’ di tanto accanimento, perche’ questo assurdo attaccamento a un nome che non e’ il proprio? Per volgarissime esigenze di bottega, solo perche’ il nome Chianti vende bene.

    Nel ricordare che comunque l’Ur-Chianti, il Kianti con la kappa, il Klante, era limitato fino al 13mo secolo alla sola valle del Massellone (anzi Klante pare fosse proprio il nome originario di tale corso d’acqua), ricordando quindi che gia’ la creazione della lega del Chianti fu a suo tempo un allargamento, allargamento che ormai accettiamo in grazia di quei cinque secoli di storia comune, condivisa, rifiutiamo nel modo piu’ assoluto ulteriori e recenti tentativi, totalmente unilaterali, di accaparrarsi il nome Chianti da parte di territori che non hanno mai avuto a che fare col Chianti e mai avranno a che farci. Tentativi, bene sottolinearlo, che sono sempre stati osteggiati dalla popolazione e dalle amministrazioni chiantigiane!
    Concludo con le parole esemplari tratte dalla motivazione della pronuncia del con cui il 19 aprile 1963 il Consiglio di Stato annullava il decreto presidenziale del 1958 che permetteva al comune di Greve di apporre “in Chianti” al nome della sola sua frazione San Polo a Ema (la richiesta a suo tempo presentata da Greve adduceva la scusa puerile che la corrispondenza indirizzata a San Polo potesse finire a San Polo d’Enza in provincia di Parma, sic!). Cosi’ concludeva il Consiglio di Stato in quel 1963 che oggi sembra distante un secolo:
    “nessuna persona fisica e, per analogia, nessun nucleo di persone puo’ venir privato del nome che gli e’ proprio o venire costretto a tollerare che quel nome venga usato, in tutto o in parte, da altri”.
    (citato in E. Centri, “Discussione sul Chianti. Quello vero e quello inventato”, Ed. Polistampa, Firenze, 1997, p.10).

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  11. Avatar di Cristiano Cristiano ha detto:

    Ciao Filippo, ma l’hai letto il libro che menziono ? Interessante quello che scrivi e in effetti non posso che essere d’accordo, però oggi come oggi il Chianti rischia essere considerata mezza Toscana, quindi considerare l’attuale confine del “classico” come “il Chianti” non è così scandaloso, via ! Sinceramente dal punto di vista vitivinicolo, anche se la cosa mi costa ammetterlo, visto la giacitura dell’azienda che conduco,dal Chianti(Classico) bisognerebbe si escludessero perlomeno i terreni pliocenici, non tanto per una scarsa vocazione qualitativa che pur hanno certi terreni, ma per una questione di relativo filo conduttore geologico che sembra lì talvolta scollegato con il resto del territorio.Effettivamente non mi pare però una forzatura considerare il Chianti geografico la valle del Massellone,il Chianti storico quello della lega omonima e Chianti enologico l’attuale confine, invero un po’ artificioso come già detto.
    Davvero però non voglio credere, seguendo la tua logica credo sarebbe così, che spoglieresti il Chianti di Greve, in particolare della Conca d’oro di Panzano e Lamole in nome di una mala interpretata storicità e poi perchè mai estendere”un pelino”l territorio in direzione proprio del “nemico senese” ?
    Occorre comunque decidere che cosa Chianti debba significare o rappresentare, e non è scontato, visto che a parte il crinale dei “Monti del Chianti”i confini sono assai poco definiti,e pertanto giocoforza sempre un po’ arbitrari, da sempre. Ciao.

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  12. Avatar di Filippo Cintolesi Filippo Cintolesi ha detto:

    Cristiano, la storia non si cancella. I territori sono l’unione di fattori geomorfologici con fattori umani. Per dirla con le tue parole, certo che spoglierei (togli pure il condizionale) il Chianti di Greve! Per dirla con le mie: non ho nessun bisogno di spogliare il Chianti di qualcosa che non ha mai indossato. Semmai bisognerebbe spogliare Greve dell’orpello indebitamente indossato nel 1972 (diconsi meno di quarant’anni fa!). Le uniche distinzioni che riconosco (perche’ hanno un fondamento storico che non si riduce alla storia delle fortune commerciali di un singolo prodotto alimentare) sono quelle fra Chianti arcaico (la valle del Massellone) e Chianti del periodo classico (l’unico Chianti Classico che posso considerare), ossia quello della Lega di Chianti, quello dei tre terzi, GaioleRaddaecCastellina; fra Chianti fiesolano e Chianti aretino (alludendo alle diocesi, ai vescovi-conti, e chissa’.. al confine della zona d’influenza bizantina e quella longobarda al tempo delle guerre gotico-bizantine? a quello fra lucumone di Fiesole e lucumone di Arezzo? chi lo sa..). Non certo posso riconoscere le distinzioni capziose fra Chianti vinicolo e altri Chianti che vengono fatte ora. O peggio che mai, la distinzione fra Chianti fiorentino e Chianti senese: il Chianti e’ sempre stato un affare fiorentino in terra idrograficamente senese. Nel Chianti si dice “i’bbabbo” ma le targhe automobilistiche oggi dicono tutte SI.
    La val d’Elsa, il Valdarno, la bassa val di Pesa, la val di Greve.. sono tutte altre cose.

    Perche’ potrebbe avere senso estendere un pelino a sud il territorio? Proprio perche’ essendo stato il territorio della Berardenga in mano senese (anzi: essendo il toponimo Berardenga un concetto senese), potrebbe avere anche senso (al limite) ammettere che una parte di quel territorio essendo stata amministrata da un altro Stato, ha avuto storia separata per un bel po’. Di sicuro non si puo’ dire del resto del territorio fiorentino alle spalle del Chianti: se poteva avere senso chiamarlo Chianti, gia’ lo avrebbero fatto a suo tempo i fiorentini. Un po’ come la questione della Macedonia greca e di quella ex-yugoslava, non so se mi spiego. Puo’ avere senso ipotizzare che qualcosa di affine sia rimasto al di la’ del filo spinato. Non ha invece senso ipotizzare che qualcosa sempre stato accanto e sotto la stessa amministrazione statale, sia stato omesso per distrazione o per chissa’ quale altro motivo.
    E poi c’e’ un argomento che a mio avviso e’ dirimente, essendo i territori un fatto di popolazioni: la popolazione chiantigiana non ha mai considerato i grevigiani come parte del territorio chiantigiano. Anzi, si sono sempre strenuamente opposti. Questa e’ la dimostrazione del fatto che non c’e’ nessuna omogeneita’, nessuna comunanza sia pure tardivamente acquisita. Questa questione e’ sempre stata e rimane un capriccio unilaterale. In una parola: un’impostura.

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  13. Avatar di Andrea Pagliantini Andrea Pagliantini ha detto:

    I nomi, la storia, i luoghi sono cosa seria e non si dovrebbero allargare a fisarmonica a piacimento ogni volta fa comodo.
    La penso come Filippo in questa lunga discussione. Di Chianti ce ne è uno.
    E poi cito un aneddoto neanche tanto vecchio nel tempo.
    A San Gusmè, quando parlano di Vertine, Brolio, Radda, dicono “là nel Chianti” indicando la direzione con un dito……… insomma, ce ne sarà un motivo se nel linguaggio comune si dice in questa maniera????

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  14. Avatar di Cristiano Castagno Cristiano Castagno ha detto:

    D’accordo, il Chianti (storico) è quello dei terzieri menzionati, non ci piove, ma essendo legato ad un confine appunto storico non è revisionabile, neanche di un pelino.Punto.
    A me interessa però un’altra cosa che esulerà per alcuni da questa discussione e riguarda la produzione di vino. Penso che il valore di un territorio vitivinicolo venga supportato dal valore del vino che ne deriva sia in termini assoluti intesi come espressività del vitigno in relazione al luogo di coltivazione, come capacità di maturazione, ma soprattutto come prodotto irriproducibile altrove.Per questo motivo, e i tempi stanno maturando sempre più, sarà sempre più possibile individuare un carattere comune dei vini a base Sangiovese, meglio se in purezza, che dichiarano da se l’origine del loro territorio. Enologicamente parlando infatti non avrebbe alcun senso creare dei confini formali se i vini prodotti dal territorio delimitato non fossero distinguibili da quelli prodotti fuori dagli stessi: sarebbe un nonsenso. Per questo motivo, e non mi dilungo ulteriormente, credo che abbia senso, eccome, e non per meri interessi di bottega, parlare di Chianti enologico che esula dal territorio dei tre terzieri.

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  15. Avatar di Filippo Cintolesi Filippo Cintolesi ha detto:

    Cristiano, sai benissimo, meglio di me, che a parita’ di uva raccolta si possono fare vini diversi, molto diversi, a seconda di come si lavora quell’uva. Sappiamo poi tutti che di sangiovese non ne esiste uno ma chissa’ quanti. Allora, con queste premesse, mi spieghi quale specificita’ avrebbe il vino a base sangiovese prodotto nel Chianti rispetto a quello prodotto un po’ piu’ in la’? Secondo me proprio nessuna. Perche’ nello stesso Chianti (intendo quello di Gaiole Radda e Castellina) vengono chianti (intendo vini a base sangiovese eccetera) decisamente diversi. Perche’ in alcune parti del Chianti i vini possono assomigliare a quelli fatti qualche decina di chilometri piu’ a sud.
    La specificita’ del Chianti, del vino del Chianti intendo, appartiene al passato. Appartiene a quando nel tal posto il vino si faceva in un modo, nel tal altro si faceva in un altro modo, diverso, sia pure di poco. Appartiene a un mondo che era fortemente localizzato. Il Chianti (vino del Chianti) e’ un prodotto della storia.
    Oggi si conosce tutto di tutti di ovunque. Qualunque specificita’ locale esiste solo se e perche’ si vuole deliberatamente mantenerla, se non addirittura ricrearla. Si hanno le conoscenze e la capacita’ e i mezzi tecnici per riprodurre quasi tutto quel che si vuole. In piu’ c’e’ il fatto che nei vigneti si trova ormai di tutto, ovunque. Ma veramente vogliamo credere che quel sasso e quell’esposizione e quel terreno e quell’altitudine abbiano un tale effetto riconoscibile sui caratteri organolettici al punto da sopravanzare l’effetto del fattore umano (ormai omogeneizzato od omogeneizzabile ovunque)? Scusate ma io proprio non lo credo. E ho la sensazione che se mi si vuole smentire lo si debba fare con l’evidenza sperimentale di degustazioni alla cieca condotte su vini fatti proprio allo scopo di svolgere questo tipo di esperimenti (cioe’ con il criterio del ceteris paribus).

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  16. Avatar di Cristiano Cristiano ha detto:

    Filippo,qualche anno fa sarei stato molto più pessimista di oggi circa l’identità territoriale dei vini del Chianti: la favorevole congiuntura commerciale, un certo gusto internazionale omologante ed imperante faceva sì che i vini venivano molto costruiti per un cliente mai sazio ed era davvero difficile degustare ed azzeccare il luogo di provenienza di molti vini toscani. Oggi con la crisi generale, si ritrovano sul mercato spesso dei vini molto meno “aggeggiati”, per usare un termine gambelliano e da qualche anno a questa parte devo dire che si comincia davvero a percepire una certa impronta territoriale. D’altra parte oggi ci sono fior di vigne, frutto degli investimenti di dieci e più anni fa che producono vino che giace invenduto in molte cantine e che vale molto meno di quanto sia costato: semplicemente oggi taroccare il vino non serve ! Tanto viene venduto a poco e non serve fare entrare vino di nascosto da chissà dove: la maggior parte del vino chiantigiano è oggi prodotto qua, come forse mai era successo…Ed il consumatore sempre più istruito, ha a sua disposizione una scelta come non mai e spesso a dei prezzi davvero invitanti. Aggiungerei che per chi apprezza il vino “naturale”, inteso prodotto senza troppe manipolazioni,che anche qui si sta sviluppando un’offerta atta a soddisfare un consumatore sempre più istruito e consapevole.Certo ci vorrà del tempo, ma anno dopo anno, si cominciano a degustare davvero molti vini chiantigiani davvero figli del proprio territorio.Dici che i vini sono manipolabili e può venire prodotto qualunque cosa da ovunque. Io non credo, o meglio un degustatore abile se ne accorge, e se così fosse significherebbe l’inutilità della nozione stessa di vini a denominazione di origine: molto dipende da fattori culturali ancora prima di fattori tecnici ma più cresce la critica enologica ed il consumatore, e più la domanda viene stimolata a creare dei vini sempre più sinceri e naturali.Naturalmente ci sono, e sempre ci saranno anche i vini per i gonzi,ma ricordiamoci che in fondo è il cliente a fare il vino, ad ognuno il suo.
    Speriamo che nel frattempo questa abbondanza di vini buoni chiantigiani non rappresenti il canto del cigno del comparto ossia muoia il viticoltore chiantigiano sempre più asfissiato dai debiti con le banche…

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  17. Avatar di Andrea Pagliantini Andrea Pagliantini ha detto:

    Sarebbe auspicabile il ridimensionamento dell’area di produzione Chianti al territorio storico dell’antica lega militare fiorentina, ovvero i tre comuni e aree attigue per paesaggio e identità storica……. San Gusmè, Vagliagli, ma so bene sia una arrampicata sugli specchi.
    E se invece di prolissi convegni, di uva ed sperimenti, di antani prolissi itineranti si lasciasse le cose come sono ora e si inserisse nelle etichette scritto grande il comune di produzione dell’uva di uso limitato a chi ha una in vigna e imbottiglia il suo vino?
    E se una azienda ha vigna sparsa, si limita a citare nell’etichetta il comune nel quale ha più vigna senza fare tanti giochini acrobatici?

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  18. Avatar di Cristiano Cristiano ha detto:

    Si Andrea concordo. Sarebbe bello che ci fossero le menzioni comunali, e anche le sottozone in etichetta, come pure fosse indicato a chiare lettere, quando così fosse, che il vino è stato prodotto e imbottigliato dal viticoltore all’origine distinguendolo da quello acquistato da terzi che è tutt’altra cosa e che attualmente non è distinguibile dalla sola etichetta: dividere il mercantile dal territoriale è fondamentale.

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  19. Avatar di andrea Andrea Pagliantini ha detto:

    Non so quanto consenso possa suscitare una proposta del genere, ma intanto parlarne fra produttori hanno in comune il produrre l’uva e il vino e sono legati al territorio dove vivono e operano non sarebbe male.
    E potrebbe essere una proposta da portate al prossimo consiglio del Consorzio Chianti Classico se ci sono consensi all’idea.

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  20. Avatar di Cristiano Castagno Cristiano Castagno ha detto:

    Comunque per tornare alla questione Chianti e poi mi quieto definitivamente volevo aggiungere che la situazione in realtà è ancora più ingarbugliata di quanto molti immaginano. Infatti a rigore di legge il Chianti è un vino che NON è prodotto dall’omonimo territorio, per converso il Chianti Classico NON è un territorio, bensì un vino prodotto in massima parte dal territorio del Chianti.Pazzesco, ma così è !

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  21. Avatar di Filippo Cintolesi Filippo Cintolesi ha detto:

    Comincio dalle ultime cose (in ordine di tempo): Bingo, Cristiano! Esattamente quello che hai detto: il Chianti viene prodotto fuori dal Chianti, mentre nel Chianti (piu’ zone limitrofe) si produce il Classico (che dovrebbe essere una connotazione stilistica, non territoriale). Questo paradosso mostra fino in fondo il marcio originale di questa denominazione.

    Venendo al tuo intervento delle 19:54 del 13 luglio, devo dire che sono d’accordo con molto di quello che dici ma il punto e’ che forse mi ero espresso male. Io non intendevo minimamente riferirmi a vini taroccati, intrugliati, aggeggiati. Intendevo e intendo dire che (facendo vino in modo rispettoso e leale) oggi come oggi e’ possibile ottenere vini simili in zone abbastanza distanti. E che nello stesso Chianti si ottengono vini dissimili, pur nella loro somiglianza. In sostanza quello che affermo, e lo ripeto senza bisogno di pensare a vini “scorretti”, e’ che la chiantigianita’ del vino da un punto di vista tecnico-organolettico, oggi come oggi e’ un concetto molto poco significativo. Tu dici: se cosi’ fosse, “significherebbe l’inutilità della nozione stessa di vini a denominazione di origine”. Infatti io sono convinto che tale nozione e’ stata fin troppo gonfiata e ipersfruttata, fino a farne un feticcio molto meno pieno di significato di quello che potesse essere fino a una quarantina di anni fa (ossia, guarda un po’, fino al momento in cui lo stesso concetto ha trovato veste giuridica e implementazione amministrativa). Il concetto di denominazione di origine presupponeva una unione di geografia, storia e tecnica che oggi non ha piu’ valore (nel senso che tale unione non trova piu’ traduzione nel prodotto). Oggi (ma direi ormai da piu’ di trent’anni) quello che avrebbe senso e’ una separazione netta dei valori da tutelare: origine territoriale (puramente geografica), tipicita’, qualita’. Ci possono essere delle implicazioni unidirezionali fra alcuni di questi concetti (ad esempio e’ fuori di dubbio che la tipicita’, comunque la si voglia intendere, presuppone una onesta origine territoriale, mentre non e’ affatto vero l’inverso), ma sono in generale distinti.

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  22. Avatar di Cristiano Castagno Cristiano Castagno ha detto:

    Volevo stare zitto, ma non ci riesco! Dici che la tipicità presuppone un onestà intellettuale.Non credo proprio sia così !! Il vinattiere di quarant’anni (e più) fa si prefiggeva di preparare per il mercato un vino “tipo chianti”partendo da una base di vino rosso della Toscana e l’Italia centrale e non solo, con in mente un profilo organolettico, anche se allora non si sarebbe definito così, ben preciso.Pur essendo molto spregiudicato “la tipicità”era più che garantita anche perchè il cliente finale cercava “quel”prodotto e se ne infischiava del resto, l’origine praticamente non era proprio contemplata ed in mancanza della tipicità il prodotto non si qualificava per quello che voleva essere e non si vendeva.Basti guardare il nome:”Consorzio per la difesa del vino tipico del Chianti”dove l’enfasi è sul “tipico” e non sul “Chianti” e anche il fatto che Chianti era un prodotto preparato da tutti, in Toscana e fuori ! Il limitare la produzione del chianti alla sola Toscana è stata una conquista ! Fino agli anni ottanta il termine “tipicità”è stato oggetto di osservazione da parte degli Inglesi almeno quanto “terroir”lo è oggi da noi. Oggi diamo per scontato invece che “territorio”significhi invece automanticamente”tipicità” e questo semplicemente non avviene se non c’è una precisa volontà di fare emergere quello che il prodotto potrebbe fare emergere, ossia c’è la necessità di applicare la “cultura”alla tecnica per fare esprimere il potenziale di un territorio: allo stesso tempo credo che la tecnica, anche la più furba, non è in grado (spero) di imprimere dei caratteri altrimenti non presenti. In altre parole un Chianti Classico o Brunello (o quello che vuoi tu) dovrebbe presentare un carattere irriproducibile altrove in termine di “matrice tannica, struttura peculiare, aroma”, in un contesto di spontaneità. Per tornare al nostro Chianti Classico ci sono dei modelli di stile che non possono assolutamente venire prodotti che lì e quanto più la critica enogastronomica e più modestamente i consumatori riescono ad appropriarsi di questa “cultura”,quanto più i produttori si convincono a fare emergere la vera tipicità territoriale irriproducibile che è già presente nell’uva. La differenza con il passato è che la tipicità di una volta era legata ad un’insieme di caratteristiche invero piuttosto sfuggevoli dettate da un fruttato un po’ossidato accompagnato da un colore particolare ed un equilibrio acido/tannico “beverino”, oggi le cose sono decisamente più complesse, anche se siamo agli inizi. Qualche esempio ? Amo i vini di Lamole e cerco sempre quella florealità che difficilmente trovo altrove, i vini di lì hanno quella caratteristica e mi riesce difficilmente a trovare “quell” carattere così peculiare , forse riscontrabile solo alla Rufina. Anche i vini di Radda sono caratteristici: hanno quell’acidità così ficcante accompaganata da un tannino davvero”ignorante”( o falsificami quello!) che dona quella capacità d’invecchiamento davvero particolari.E potrei continuare. Quanto più si trasmette questa vera e propria cultura, legata ai caratteri peculiari delle zone (e sottozone del Chianti), quanto più si riuscirà a salvaguardare il territorio.

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