In questo periodo alcuni insigni colleghi che preferirei definire amici hanno postato sui loro blog che intendono prendersi una pausa di riflessione. Io rifletto da anni, tanto che i miei pochi lettori sono tutti emigrati in Facebook, dove sono sicuri di poter leggere qualche mia cavolata. O almeno di sapere se sono ancora viva.
Quando ho finalmente preso la tessera da giornalista, ormai più di vent’anni fa, credevo che il nostro compito fosse parlare alla gente – i lettori – dire la nostra, avere uno sguardo critico sulla realtà, o almeno su un suo spaccato. E così ho cercato di fare, con onestà intellettuale. Forse con ingenuità.
La nascita dei blog per noi giornalisti è stata un’ottima possibilità per “dire la nostra” su uno spazio libero da pressioni e coinvolgimenti dettati dalle esigenze editoriali. È come se ognuno di noi avesse un suo proprio giornale, tagliato sulla sua personalità come un vestito di sartoria. Fantastico, vero?
Ma questa cosa meravigliosa nasconde anche un grande pericolo: la marchetta.
Dicesi marchetta, in termine tecnico, un favore (giornalistico, non sessuale) in cambio di denaro. Detto in altre parole, un “redazionale a pagamento”, però occulto. La marchetta è disdicevole…
In effetti non sarebbe carino, mettere come sottotitolo al proprio articolo: “Ho scritto questo pezzo perchè il vignaiolo mi ha pagato e perchè il ristoratore mi fa mangiare gratis ogni volta che voglio”.
In pratica è ciò che succede spessissimo, soprattutto tra i blogger. Si è instaurato un malcostume tutto italiano, un sistema mafioso simile alle raccomandazioni.
Quest’anno mi è capitato di tutto: il ristoratore non ti lascia pagare il conto, aspettandosi un articolo, tu non glie lo fai per mille motivi, lui si offende, quando tu vorresti tornare nel suo locale e prenoti, ti dice che non ha posto. Un amico (e sto parlando di amici, non di produttori che non hai mai visto in faccia, un amico che solo qualche giorno prima ti ha raccontato i suoi problemi familiari) ti fa assaggiare il suo olio, poi ti scrive chiedendoti come mai non hai ancora fatto il pezzo su di lui. Un vignaiolo che ti chiede non se ti è piaciuto il vino, ma perchè non hai ancora scritto, visto che ti ha regalato la bottiglia. L’enotecaro che ti chiede di “spingere” il vino che vende, millantando al povero produttore che ti ha pagata per fare pubblicità al suo prodotto.
Questo mondo mi è venuto a nausea.
Gli amici veri, e sono pochi, sanno che non sono in vendita. Perlomeno non per una bottiglia o un salame, o una cena.
Altezzosamente, forse, ho sospeso la scrittura su questo blog, per non ferire la sensibilità altrui, per non sembrare troppo presenzialista, perchè vivo più in fretta di quanto riesca a scrivere, per non farmi mettere i piedi in testa. E forse perchè non ha più senso scrivere un diario che non sia un diario, riflessioni pilotate e limate per non offendere nessuno. In questo stimo particolarmente due colleghi: Franco Ziliani, che non ha peli sulla lingua e che ha il coraggio di scrivere tutto ciò che ha il coraggio di pensare, e Tommaso Farina, che a volte è critico, ma mai violento o banale.
Rivoglio la mia libertà di scrivere quello che mi pare, per chi mi pare. Se non vi sta bene, non leggete questo blog.
Laura Rangoni.
Una versione delle cose vista dall’altro lato: ovvero quella che racconta quello altri fanno, o tradotto, c’è chi fa il vino e chi lo degusta e ne parla.
Niente di male e disdicevole finchè viene fatto limpidamente, un pò meno lampante quando o per concessione aziendale, o per scivolone professionale, si leggono articoli che sono redazionali a pagamento ma chi legge non lo sa.
Esempio che ho fatto cento volte ma che calza come un guanto ad un malessere molto nostrano.
Un mitico commercialista, dicasi Testa Pelata appena fresco di nomina a procuratore legale di una nuova società agricola inizia uno show su come affermarsi e far affermare la nuova azienda nel mondo del vin e nelle vendite.
“Si pigliano i meglio giornalisti, si fanno star bene, si ospitano nei migliori posti e si fanno andare nei meglio ristoranti ecc. ecc e poi non potranno parlare male dell’azienda…… mica crederai che per vendere il vino occorre farlo buono e fare bene per le vigne?”.
Questo il Testa Pelata pensiero che non mi sorprese, venendo da lui e sapendo come nel vino girano le cose, infatti di li a breve io fui cacciato a calci in culo e uscì a breve un articolo di un “guru” di calibro internazionale che magnificava l’azienda e le sue scelte e opere…shit direbbero gli anglosassoni.
Da una parte articoli mascherati da informazione che non solo altro che spot a pagamento, dall’altra regalini, pranzi, bottiglie ecc, con il celato obbbligo di parlarne e soprattuto sempre bene….
In mezzo coloro che un poca di etica e professionalità la hanno ancora e annaspano per restare a galla.
E’ uno strano paese questo….
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Letto. In verità lo trovo uno sfogo quasi pleonastico. Nel senso che basta davvero fare cio’ che si vuole senza sottolineare la grande impresa di autonomia ci pensiero. Le marchette andavano bene soprattutto per carta stampata e tv. Su internet ti scoprono subito, non reggono a lungo. Piuttosto chiederei a tutti questi signori e queste signore che scrivono perché di fanno appellare come giornalisti quando non lo sono? Non pagano un ordine non danno contributi e non rischiano sanzioni. Laura e’ stata onesta ma non credo che spacciassi per ciò che non di e’ / non e il caso della tangibile forse – sia altrettanto etico
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Chiedo scusa per gli errori ma il mio smartphone non e’ il massimo per la miopia!
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o’cieco e surriento….
dilla tutta e’ l aifon 4 …sei diventata fescion anche tu….:-)
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Sempre stata braganti
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Grazie Andrea, e grazie a tutti. Si è trattato di uno sfogo, ma anche di una presa di posizione. Non tanto e non solo nei confronti di alcuni colleghi giornalisti, quanto di tuttologi ed enosboroni che, di fatto, per una bottiglia, sono disposti a magnificare anche l’acqua di fogna. In questo modo il mio lettore, che è la mitica sciùra Maria, non certo il sommmmmellllllier superesperto, non capisce più cosa sia vino e cosa sia marketing. E lei vuole un vino da abbinare al pollo arrosto che cucina al marito, non una disquisizione filosofica.
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Turisti per cacio! Conosco molto bene il libro! Chissà chi me lo ha regalato! 😉
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Credo che equilibrio e compromessi siano alla base di qualunque attività provessionale.
Oggi è così ualsiasi lavoro tu faccia, a prescindere, altrimenti vai a fare l’eremita e viviere dei frutti della terra, caccia e pesca.
Chi vuole sempre fare il puro e incorruttibile alla fine risulta “sgradito” e si lamenta che il mondo ce l’ha con lui.
Si può scendere a compromessi, purchè con chiarezza, senza scadere nel markettismo vergognoso.
Credo che Laura intendesse anche questo.
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Laura probabilmente ha scritto un manifesto per se stessa e per ciò vuole fare ed essere nel futuro da qui a breve.
O navigare a vista in un mare di compromessi e si dice e non si dice, si capisce ma non si capisce o dire a se stessa in uno scatto d’orgoglio e amor proprio di provare a fare un percorso parlando e dicendo ciò piace con persone con cui è in sintonia ben sapendo che è il percorso più difficile, impervio, pieno di ostacoli si dovrà sbattere contro un muro di ipocrisia e di indifferenza.
Dire le cose chiare e come stanno Luca non è scendere a compromessi, prendere cantonate, ma avere il coraggio di dichiararle e ammetterle buon gusto per le cose difficili.
A forza di compromessi si vende l’anima al diavolo e si diventa rotelle di un ingranaggio in cui non si capisce più chi si è in una selva di ricatti.
Poi comunque ognuno la vede a modo più gli aggrada.
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