Mentre potavo l’ulivo della prima foto, all’improvviso uno schiocco secco appena sopra il culo e un dolore fortissimo, intirizzito come un baccalà ad asciugare.
C’è voluto un bel pò prima di riuscire a salire in macchina e farmi bucare le mele con lo zio Voltaren.
Una settimana e più di sudario come ai bei tempi e una forte dose di paura accentuata dai ricordi e da giorni che da allora quando più, quando meno, sono farciti di dolore come un pollo della salvia per l’arrosto.
La potatura è ripresa, dovrei essere intorno la metà, ma mancano ancora sulle 200 piante. E le gambe sono sempre pese, sia stare a sedere, sia fare, quindi meglio fare in qualche modo finchè reggo.
Ma ci intravedo i soliti volti, le solite storie, le rughe di anziani corrosi dal lavoro e dal rispetto dei luoghi, i volti, il volto di persone care che mi danno la forza di reggere.
In ogni terreno che mi passa fra le mani pianto un ciliegio, anzi mi suona meglio cilieggggio, una pianta nobilissima dai frutti multiuso, si mangia il fuori, si tira il nocciolo agli stronzi.
Vige sempre il solito motto: Barcollo ma non mollo.












Bellissima la ciliegggia multiuso.
Un’altra caratteristica è il suo odore fortissimo che finisce sempre dentro ai bicchieri di vino…
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Per contentare con tirata di noccioli tutti gli stronzi incrociati negli ultimi sette/otto anni, non mi basterebbero tutti i ciliegi di Vignola.
Nel vino mi arrabbio quando l’odor di ciliegia lo chiamano migliorativo, ma che c’è da migliorare, il sangiovese?
Basta solo saperlo fare, è questo il difficile e non da tutti.
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