Foto Castello di Brolio e dintorni

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Il castello di Brolio, è il luogo in cui Bettino Ricasoli, il barone di ferro, secondo Presidente del Consiglio dopo l’unità d’Italia, mette a punto dopo tanti esperimenti e prove di coltivazione la ricetta di uve per la produzione del vino Chianti Classico.

Già nella metà dell’800, il barone si era reso conto della vocazione del territorio per particolari tipi di uve, che riescono a dare il meglio di loro stesse proprio fra i terreni sassosi di questi luoghi.

Elesse a re delle sue cantine il Sangiovese, miscelato con Canaiolo e Malvasia bianca, bocciando già allora vari tipi di uve che adesso si chiamano” internazionali”.

Questo la dice lunga sul personaggio e sulle capacità di sperimentatore in agricoltura, dal carattere irascibile e presuntuoso, ma fine intenditore e produttore di vino.

Ai giorni nostri, la ricetta del barone Ricasoli, è caduta nel dimenticatoio e fare un vino come lo aveva inventato lui, vuol dire fare un Igt, non un Chianti Classico, dato che per disciplinare, le uve bianche dal 2006 non sono ammesse, ma sono ammessi i vitigni che nel lontano ‘800, lui aveva  bocciato.

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5 Responses to Foto Castello di Brolio e dintorni

  1. Avatar di Lorenzo Cairoli Lorenzo Cairoli ha detto:

    Ti leggo volentieri.
    Un consiglio, lo stesso dato a Guido Cuomo qualche settimana fa. Nella classifica di Blog Babel non passa giorno che precipiti. Anche mia figlia ha un blog: lo legge lei i suoi tre cani e la zia, ma non tracolla come il tuo. Credo che tu debba metterti in contatto con quelli di B.B. e vedrai che nel giro di qualche giorno riaffiori.

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  2. Avatar di andrea andreapagliantini ha detto:

    Ti ringrazio prima di tutto perchè mi leggi volentieri ed è un bel complimento.
    Poi se devo dirti la verità, non sono molto ferrato in fatto di classifiche e non ci faccio molto caso, prima di tutto avere questo blog è un divertimento oltre che un passatempo, e credo anche che qua sopra ci passi varia gente.
    Magari, anche solo per curosità proverò a sentire che dicono quelli di B.B

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  3. Avatar di Pato Pato ha detto:

    Se non sbaglio gli stessi eredi del Barone di ferro utilizzano vitigni estranei alla tradizione toscana…e comunque non è solo il Chianti che ha di questi problemi. La Toscana è diventata (non tutta) la puttana di questi vitigni internazionali…accontenta tutti i palati (americani)!!! Negli ultimi anni però qualcosina sembrerebbe cambiare…speriamo bene!
    Poi riguardo all’eliminazione dal disciplinare delle uve bianche mi sembra una scelta piuttosto dittatoriale…un conto è scegliere di non utilizzarle…un conto è metterle “fuori legge”! Con buona pace di 200 anni di tradizione!

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  4. Avatar di Andrea Pagliantini Andrea Pagliantini ha detto:

    In effetti sono d’accordo con quanto dici, gli eredi attuali fanno un vino che non si può certo definire nella stretta tradizione dell’avo.
    Ma questo dipende principalmente dal manico di chi lo fa e dove hanno puntato gli obiettivi di vendita.
    E’ chiaro che se punti al mercato americano un certo stile di vino si capisce al volo, anche se non capisco bene perchè dobbiamo per forza dargli un qualcosa che potrebbero trovare ovunque, e a prezzi molto più ragionevoli, mentre qui siamo capaci di fare altro e può venire solo qui.
    Probabilmente è solo un fatto di comunicazione, come mi ha detto un grande vecchio Maestro a cui giusto oggi sono andato a far visita.
    Un certo tipo di Chianti non è conosciuto, ma una volta fatto assaggiare e spiegato, eccome se piace e viene comprato.
    Anche la scelta di togliere le uve bianche dal disciplinare, forse la capisco, ma non la comprendo se poi al loro posto vengono inserite delle uve che stravolgono e rendono il chianti altro, come non comprendo l’uso eccessivo di legno.
    Io, nel mio piccolo continuo a fare in un certo modo, mi piace provare e sperimentare, ma mi piace migliorare quello che c’era, non stravolgerlo.
    Seguo una piccola azienda di un amico e facciamo vino con viti di oltre trenta anni e non mi vergogno a dire che ci viene messa una percentuale di malvasia bianca che va dal 2% al 5%, a seconda della configurazione dell’annata.
    Cerchiamo di stare attenti alla quantità di uva per ceppo e a fare una potatura più selettiva, poi la vendemmia cerchiamo di farla il più possibile lontano nel tempo, stando attenti a prendere uva nel miglior modo possibile e nella migliore maturazione possibile.
    Continuo a credere in un vino fatto in un certo modo, non uso tannini, ieviti, enzimi ecc.
    I lieviti posso usarli solo quando vedo delle fermentazioni difficoltose o se l’uva arriva fredda in cantina e non parte.
    Comunque sono contento perchè i risultati danno ragione, chi assaggia rimane meravigliato e stupito dalla freschezza di certi profumi e dalla beva, qualcuno stupito crede che abbia inventato chissà cosa.
    Non ho inventato proprio niente.

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  5. Avatar di Filippo Cintolesi Filippo Cintolesi ha detto:

    Pato, permettimi alcune precisazioni.
    Innanzitutto “gli eredi del barone di ferro” sono svariati. Come cantine sono per lo meno tre distinte (e corrispondenti a modi di fare il vino abbastanza diversi). Si trova anche l’espressione di un certo tradizionalismo fra loro. Forse tu ti riferisci a quelli che hanno mantenuto il legame con Brolio, i quali pero’ sono discendenti in linea diretta dal barone di ferro tanto quanto gli altri.
    Quanto alle uve bianche e ai disciplinari e’ bene precisare che ai tempi delle ricerche di Bettino (il barone di ferro, appunto) ci fu un convergere su una formula abbastanza elastica, sicuramente molto di piu’ di quanto i successivi disciplinari del ventesimo secolo hanno poi congelato e lasciato pensare: innanzi tutto la grande novita’ fu l’individuazione del sangiovese come vitigno principale del vino, rovesciando i ruoli rispetto al canaiolo nero, per come era stato fino ad allora. E poi si trattava di una modulazione delle altre uve da aggiungere al protagonista che in alcuni casi poteva anche diventare il solista (si prevedeva la possibilita’ di usare il sangiovese in purezza). In particolare l’impiego delle uve bianche era variabile, a seconda dell’annata, e sicuramente gia’ allora se ne sconsigliava l’uso se si volesse fare un vino da invecchiare. Infine non dimentichiamoci che uve bianche per il barone di ferro voleva dire soprattutto malvasia (la nostra malvasia ovviamente, quella cosiddetta bianca lunga), e non invece soprattutto trebbiano come ha poi voluto dire nel corso del ventesimo secolo (e a mio avviso risale proprio a questa mutazione il perdere di popolarita’ della formula con le uve bianche, soprattutto se si pensa che il trebbiano si prende tutta la corda che gli si da’ nella vigna, con gli inevitabili riflessi qualitativi).
    Se si deve essere sinceri non e’mai esistita una ricetta con proporzioni consolidate dalla tradizione, a meno di non contentarsi di pochi decenni per poter parlare di tradizione. La “tradizione” in questo caso e’ piuttosto recente.
    Se invece c’e’ una cosa che e’ consacrata da almeno sette secoli di storia, e’ la reale estensione del comprensorio chiamato Chianti, ed e’ quello che oggi alcuni chiamano “Chianti storico” (ossia corrispondente agli attuali tre comuni di Radda, Gaiole e Castellina) per opporlo ai tanti altri “Chianti” che hanno cercato e cercano tutt’ora di accreditarsi. Sto qui parlando cioe’ di territorio e non di vino. Paradossalmente (ma non tanto) QUESTA tradizione, che e’ vera, viene invece in gran parte ignorata a favore di altre versioni di “Chianti” che non solo non hanno riscontro nella storia, ma addirittura presentano dei lati di vera e propria aporia rispetto a un discorso filologico e scientificamente corretto su cio’ che debba intendersi come territorio del Chianti.

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