L’argomento che vado a trattare adesso, mi esaspera e mi fa toccare punte di acidità mentale tale che dovrò leggere e rileggere quanto sto per pubblicare per non incorrere nel greve insulto nella foga del racconto.
Si tratta della delicata questione degli annessi agricoli, quelle strutture che dovrebbero appunto ricoverare mezzi, attrezzature, prodotti agricoli nelle loro fasi di trasformazione o al limite di affinamento, e di stupende case coloniche adibite a ville sciccose.
Lo sbocciare come funghi in autunno di annessi agricoli, inquieta, in questo territorio; negli ultimi anni sgorgano come acqua di fonte, ramificano, si innalzano per l’aria, impestano.
Fino a qualche anno fa, quando ogni tanto nelle pieghe della legge finanziaria si trovava la sanatoria e l’immancabile condono, era prassi innalzare ” annessi agricoli” e sanarli poi con la tassettina e l’ammendina non appena il condono si rivelava ed adibirli poi a residenza, alloggio, casavacanze per gli amici, con i comuni che poi si facevano carico dei costi di urbanizzazione con quello che ne consegue, si incassa uno per poi donare in servizi 10.
Poi, a semplificare le cose c’è che il bilancio dei comuni è perennemente in bilico fra il rosso e il rossissimo, e moneta fresca e sonante che arriva pronta cassa con gli oneri di urbanizzazione è oasi nel deserto, e quindi bastava, che sò, avere una striscia di bosco, allegarvi un piano di sviluppo aziendale in cui si rivelava di voler innestare le quercie da ghianda con le fave da sovescio, e il gioco era fatto, via alle tasse di urbanizzazione, via alla costruzione, via al cemento.
Poi, si sa, la mano del muratore, tocco di artista è, al momento che ha la mestola in mano, il materiale e la betoniera in moto, fare 10 quando si può fare 20, dato che siamo a fare , tocco poetico e culturale è!
Annessi agricoli con piscina, forno esterno con girarrosto, cantine dalla forma di scatole da scarpe adossate ad antichi castelli, che almeno queste hanno solo il limite del buongusto e non dell’ uso sbagliato, si vede comparire di tutto e si vede comparire in un territorio omogeneo, in cui alcuni comuni concedono e fanno fare, altri, prima di farti toccare un ballino di cemento ti fanno pelo e contropelo e poi difficilmente ti danno l’autorizzazione a fare e costruire.Quindi opposti estremismi nei sensi opposti.
Gli argomenti di giustificazione sono vari, ma il più gettonato è uno ed uno solo, lo sviluppo, il creare occupazione, posti di lavoro e ricchezza, una ricetta miope e selvaggia che alla fine comprometterà l’unicità di questo territorio e la sua vivibilità, la quiete e la calma delle dolci colline chiantigiane così cara ai tanti turisti( e a chi ci vive) che affollano queste zone, che hanno il gusto della pace, della quiete, del panorama colonico del tempo che fu.
Chiamare sviluppo tutto questo e recepirlo come tale è dura e difficile da comprendere, io da parte mia la chiamo miopia.
Nelle stupende e preziose case coloniche di un tempo, abbandonate da noi indigeni negli anni ’60 con la crisi della mezzadria, le prime ristrutturazione, avvenute da pionieri e veri amanti del territorio, hanno impedito che degradassero e franassero, parlo dei primi inglesi, dei tedeschi, di qualche milanese, poi con gli anni ’80, con l’opulenza di un’ Italia da bere grassa e sugosa queste case coloniche e contadine, hanno iniziato a prendere forme nuove, sono cambiate le piante che avevano intorno, sono stati abbattuti gelsi, salici,frutti antichi e ora introvabili che erano parte integrante dell’economia del luogo, i primi fornivano per esempio cibo per i bachi da seta e materia prima per marmellate e dolci, i secondi erano i “fili di plastica” dell’ epoca e con tutto un procedimento di bagnatura, divenivano i legacci per le viti e per le piante in generale.
Con il boom del vino degli anni ’90, le case sono diventate ville, alcune solo modificate, altre stravolte, addirittura holliwoddiane con tanto di fontanina greca altre, tutto per compiacere il personaggio di turno piovuto qui quasi per sbaglio o solo per vantare di avere un possedimento nel Chianti di fronte a qualche amico estasiato e invidioso.
Davvero, siamo arrivati al punto che occorre mettere un freno a tutto questo aspetto/ scempio del territorio, della sua storia e cultura agricola, sennò non rimarrà alcuna testimonianza della campagna e della vita rurale che si è condotta da sempre in questi luoghi.
Quanto narrato finora non è sviluppo, è ostentazione e bizza di chi può, coniugare sviluppo con ambiente e vivibilità, non è un impresa impossibile, ma realizzabile ed auspicabile per tutti, per chi ci abita, per chi ci viene a soggiornare in vacanza, per chi ancora non c’è ma ci sarà in futuro.
Non c’è neanche bisogno di studi, convegni, tavole rotonde, quadre o trapezoidali, esistono delle regole, dei vincoli, esiste una legalità che tutela l’aspetto economico come l’aspetto visivo ed ambientale, sarebbe ora di cominciare a tenerne conto, la parola, probabilmente indicata, è una sola: legalità e rispetto delle leggi vigenti.

Cos’è la legalità ? ….. non mi ricordo di averla mai vista!
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legalità è lasciare quello che si è trovato alle future generazioni nel miglior modo, è andare a chiedere un permesso in un ufficio e ricevere informazioni e cortesia, legalità è sapere che se si costruisce come non si deve e dove non si deve ci sono multe e ruspe e non scappatoie burocratiche. Legalità è non affidarsi al professionista mandrillo che ha conoscienze per aggirare ostacoli ed ottenere permessi,anche quando si vogliono fare le cose in regola, legalità è non lamentarsi che tutto va male e non si può far niente
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