
Mi permetto di intervenire su questo argomento del quale mi sta molto a cuore una parte, quella territoriale, mentre lascerei a voi esperti e professionisti del vino la parte riguardante la denominazione vinicola. Su quest’ultimo punto, che appunto vi lascio, mi limito a osservare che se pur forse in un remoto ieri era esistito un senso per l’espressione “vino Chianti”, intendendo un TIPO di vino piu’ o meno preciso, ormai (da almeno una quindicina d’anni) ogni senso residuo per tale espressione e’ venuto meno: mai stato un vitigno, ormai non piu’ un uvaggio (sotto lo stesso nome si trova dal sangiovese in purezza alla vecchia formula ai nuovi uvaggi con percentuali sostanziose di vitigni che ormai nessuno osa chiamare piu’ “migliorativi”), chissa’ da quando non piu’ neppure una parvenza di stile (chi fa piu’ il governo?), il nome “chianti” affibbiato a una bottiglia di vino assomiglia sempre piu’ a quel coltello cui si era cambiato prima la lama, poi il manico, poi ancora la lama, poi ancora il manico….e tuttavia “rimaneva” sempre lo stesso coltello. Cercatela voi la “chiantitude” e tanti auguri. Territorio dunque, visto che quel famoso coltello era innanzitutto e prima di tutto proprio questo (il vino DEL Chianti). E territorio sia, allora. E quando si dice territorio si dice innanzitutto storia piu’ che geografia. Giusto: Chianti e’ stato a lungo prima che un coronimo (toponimo di regione) un oronimo, ossia un toponimo di rilievi montuosi. A questo proposito giova ricordare che i Monti del Chianti erano i monti fra Monte Luco e il San Michele. Estremi esclusi. Era cioe’ quella tasca rincagnata fra il passo di Cancelli e il Monte Muro. Ma fu prima ancora (ormai e’ confermato dagli archeologi, mi risulta) un idronimo, ossia un toponimo di corso d’acqua. Il Clante. Ossia il Massellone. E venendo da Siena lo si percepisce immediatamente che la musica cambia appena si passa il ponte delle Granchiaie. Il paesaggio si infossa, si rincagna, si chiude. Lo scoglio affiora sempre piu’ dalla terra. La terra s’incattivisce, si capisce bene che si sta entrando proprio nel Chianti, quello vero. Si parla qui di un Chianti arcaico, di un Ur-Chianti, di un Chianti con la K. Ma questa e’ ancora geografia. Parliamo di storia, allora. E la storia e’ che il Chianti e’ cerniera di confine. Terra di attriti, da sempre. Rimanendo a tempi relativamente recenti (diciamo successivi al crollo dell’impero romano) attrito fra diocesi diverse (quindi, sembrerebbe di imparare, risalente a una cerniera fra lucumonie etrusche diverse), quella aretina e quella fiesolana. Ed eccoci alla vera dicotomia chiantigiana: un chianti aretino e un chianti fiesolano (ma in questo senso!). Da Vertine (Fiesole) e’ possibile lanciare un bel fischio ed essere uditi in quel di Barbistio (Arezzo). Lo stesso e’ possibile fare da San Polo (l’unico San Polo che il Chianti conosca, che pero’ guarda un po’ si chiama “in Rosso”) fiesolano e farsi udire a Lecchi aretina. Poi in tempi decisamente piu’ bassomedievali frizione e confine fra Firenze e Siena. Ed eccoci all’altra dicotomia, contraddittoria, esistente nel Chianti: un Chianti senese e fiorentino. Non un Chianti senese e uno fiorentino, si badi. Ma un unico Chianti insieme senese (perche’ sostanzialmente, idrograficamente senese; e anche perche’ per la prossimita’ a Siena i fiorentini se lo sono dovuti conquistare col ferro e col fuoco) e fiorentino (perche’ storicamente fu appunto conquistato da Firenze e inserito nell’ordinamento in leghe del contado fiorentino, nel quale ordinamento a lungo rimase. E basti sentire l’accento dei chiantigiani per capire che in queste terre il cuore e’ viola) e poi senese ancora (perche’ dopo la riforma leopoldina che aboli’ le leghe fu annesso al compartimento senese, e tutt’oggi e’ interamente, ripeto INTERAMENTE in provincia di Siena) e poi forse nel vicino futuro ridinuovo fiorentino (perche’ la provincia di Siena non la vedo messa molto durevole in termini amministrativi, e perche’ c’e’ aria di accorpamenti di comuni, e perche’ figurati se in quel di Firenze si potra’ mai tollerare che si crei un’entita’ chiamata “Chianti” a sud del confine provinciale, ossia che tenga fuori i comuni che da decenni si sono clonati un Chianti a misura di vinattiere a nord del San Michele…..). Ecco: il Chianti questo e’ sempre stato, una terra di confine e di frizioni. E tutto questo carattere proverbiale di cerniera, di confine, dove andrebbe a finire, come lo si potrebbe anche soltanto percepire (e far percepire ai perplessi turisti che volessero chiedere spiegazione alle ancor piu’ perplesse guide turistiche) se si volesse ammettere un territorio con questo nome ma straportato verso Cerbaia e Impruneta come i disciplinari di produzione di prodotti dell’enogastronomia vorrebbero?
Fonti: Intravino – It hobby vino