Tra l’oleandro e il baobab

Quest’anno non c’è molto movimento di persone tranne gli indigeni o le splendide signore che la mattina presto salgono dalla Buca in simbiosi con i primi morbidi raggi di sole e camminano a passo svelto e deciso, rischiando di finire nella nuvola di polvere sollevata da qualche marrano in macchina sullo sterro di San Donato.
Non c’è un sottofondo di malinconia nel fatto che il turismo becero e cafone (fra cui quello americano) quest’anno non è invadente, non arriva (per ora) in elicottero, non si interpone nel cambio della guardia delle nove di sera al Parco, quando le cicale lasciano le chiavi della notte ai grilli.
I gatti di Vasco si dispongono sotto il fico dell’orto, alla Capanna, nel sedile del trattore di Pasqualino e nienteli fa muovere tranne quando sentono una voce amica o direttamente la panda del padrone, che sanno essere sempre piena di scatolette o croccantini per loro e la volpe (che anche lei non disdegna i biscottini al salmone e gamberetti).
Ci sono tutti gli oleandri in fiore, quello alla porta ha preso una bella ridimensionata, ma deve tornare ad avere le frasche fresche e docili senza essere invadente.
I due in piazza della chiesa, quello porpora alla torretta, la cascata di fiori bianchi che sta sopra la piazzetta della Teresa, mentre quello di Reinard è stato ridimensionato e tornerà presto vigoroso e quello nell’orto della Daniela svetta di rosa verso il cielo.
La sera al Parco, come si è detto il cambio della guardia fra cicale e grilli, Massimo che porta Maciste alla cuccia, Pasqualino che va a chiudere le galline.

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