“Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia.
Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano lì; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po’ coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come pentole tenute a fuoco lento.
Non è detto che qualcuno in quell’immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l’armatura li reggeva impettiti in sella tutti ad un modo……..”
Il cavaliere inesistente
Editore Garzanti 1986
Mi è presa voglia di rileggere quel magnifico libro
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La prima riga – oggi, chissà perché – mi rimanda a “Sta Federico imperatore in Como…”
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Scusa l’ignoranza Silvana, ma non ci arrivo a questa frase….. è grave?
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E’ l’inizio de “La Canzone di Legnano”, te la puoi andare a leggere con Google, in cui Carducci canta la rivolta dei milanesi all’imperatore (Barbarossa). Non so come, ma i tempi che corrono, l’incipit calviniano “sotto le rosse mura di Parigi…”, la metrica usata dal Carducci – che riprende quella delle “chansons de geste” – che incita all’azione (la metrica, ma anche il contenuto), tutto mi ha fatto venire una voglia giovanilissima di scrollarmi i parassiti e i cantastorie (contaballe) dalle spalle Di togliere di mezzo tutti quelli che fingono di non sapere e di non vedere la genìa che manda a rotoli questo paese….Troppo rivoluzionario, il tutto? Forse, certo però che bisognerebbe aprire gli occhi, prima che sia tardi.
Invito tutti alla lettura de La canzone di Legnano, con Google è subito lì.
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Tutto è rivouzionario se si ora dire qualcosa di diverso dal credo onnivoro dei conti e del sentirsi in colpa per averli messi al verde… ma io ricordo per me stesso di non aver partecipato al banchetto o di aver declinato se invitato.
E poi Silvana c’è il Carducci che mal lo reggo, non per colpe sue sia chiaro che non son degno di legargli una scarpa, solo che quando sento la poesia dei cipressini alti e schietti in duplice filar mi vengono in mente tutti quelli piantati a minchia errata ovunque e penso a quanto era bella la Toscana quando non era la brutta copia di se stessa.
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Ti raccomando grandemente la lettura della suddetta Canzone, che ti assicuro non è né melensa come “i cipressetti”(ma chi li ha resi melensi?!), né tanto meno una ‘canzonetta’.
La summenzionata è un inno – divinamente scritto – alla riscossa della dignità, all’affermazione del proprio vincolo al territorio a costo della vita. E i riferimenti ‘nordici’ divengono universali: leggitela (io me la sto re-imparando a memoria: si sa mai!).
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Mi riprometto di leggere la canzone con calma cara Silvana.
I cipressetti sono stati resi melensi da una categoria di gente affascinata dal falso mito della Toscana che sta purtroppo diventando una caricatura di se stessa e se sbarcheranno anche i russi aspettiamoci delle disneiland che neanche gli americani avrebbero saputo concepire.
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